Operaclick
Marco Peracchio
 
Ponchielli: La Gioconda, Salzburger Osterfestspiele, ab 23.3.2024

Salisburgo - Großes Festspielhaus: La Gioconda
 
 
In occasione del debutto operistico dell’Accademia di Santa Cecilia al Festival di Pasqua di Salisburgo, Antonio Pappano ha voluto agire in grande: ha scelto con Gioconda una delle opere più difficili da allestire e da far apprezzare al pubblico di oggi.

Quel che colpisce anzitutto della sua lettura è il suono dell’orchestra: sfumature di piano e una miriade di colori pastello, grazie a un tessuto compatto degli archi su cui si stagliano fiati, arpe e percussioni. Questa scelta timbrica risulta funzionale a uno stile quanto più possibile lontano da un puccinismo esteriore, a favore di finezze raffinatissime. Il primo atto è parso a tratti generico, mentre dal secondo prende quota una narrazione che va al cuore della scrittura di Ponchielli, o meglio del suo patchwork compositivo che se forzato a unità stilistica potrebbe risultare annacquato, proponendo senza soluzioni di continuità le pagine più smaccatamente cantabili accanto a quelle più moderne e lontane da una musicalità ovvia. I soli e i duetti sono risultati così il cuore drammaturgico dell’opera, con un tutto tondo di stati d’animo a rendere reali i personaggi; notevolissimo l’equilibrio buca-palcoscenico sia nei rapporti di peso sonoro sia nell’andare a tempo senza rigidità. L’Orchestra di Santa Cecilia inizia con qualche sbavatura non usuale, per poi procedere con compattezza e suoni splendidi. Menzione per il clarinetto di Alessandro Carbonare, l’arpa di Silvia Podrecca, i timpani di Antonio Catone e i violini primi. Il coro preparato da Andrea Secchi si distingue per brillantezza di suono specialmente nelle sezioni maschili, ed è davvero credibile in scena.

Tra i solisti spicca Anna Netrebko, a cui questo ruolo calza oggi con la stessa perfezione di Giovanna d’Arco dieci anni fa. La voce naviga lungo la tessitura impervia senza apparente fatica, brillando negli estremi: i gravi ambrati senza che suonino gutturali, gli acuti di bellezza siderale. Ancor più importante del mero splendore timbrico, il personaggio di Gioconda le si addice pienamente: è una donna che ama, soffre, aiuta e odia in modo così credibile e semplice da rendere vivo un personaggio a rischio di artefazione. Bravissima per non strafare in scena, ciononostante magnetizzando sempre l’attenzione su di sé. Grazie alla completezza da cantante-attrice è senz’altro una delle prove migliori della sua carriera. Jonas Kaufmann canta con eleganza, e si fa ricordare per dizione e accenti esemplari oltre che per modulare la voce senza affettazione. Tuttavia il ruolo di Enzo sembra troppo impegnativo per il suo strumento, mettendolo a dura prova e facendolo suonare qua e là sbiancato. Barnaba sembra un ruolo scritto per Luca Salsi: ne mette in luce gli aspetti più belli della voce, così come le doti di interprete intelligente. Eve-Maud Hubeaux è una Laura bellissima e raffinata, e ne risolve il canto nonostante qualche durezza dopo il passaggio. L’Alvise di Tareq Nazmi è nobile d’aspetto e di timbro, nobiltà che non sempre si traduce nel canto sovente forzato. Molto convincente la Cieca di Agnieszka Rehlis; più che funzionali le parti a contorno interpretate da Nicolò Donini, Didier Pieri, Patrizio La Placa, Federico Benetti e Massimo Simeoli.

L’allestimento di Oliver Mears muove su due piani: nella prima parte iperrealismo nel raffigurare la Venezia di oggi invasa di turisti che spaziano da burini a miliardari raffinati, nella seconda richiami cinematografici a film di spionaggio girati in laguna come ‘Casino Royale’ o ‘Dead Reckoning’. Scelte efficaci per evitare dettagli oleografici un po’ astrusi e favorire l’attenzione del pubblico sui nodi della vicenda. Le scene di Philipp Fürhoffer sono semplici ed evocative, le luci di Fabiana Piccioli provengono spesso di lato e privilegiano chiaroscuri: il loro insieme contribuisce a una messa in scena quasi magnetica. I costumi Annemarie Woods ricordano capi di una boutique di gran classe, e le coreografie di Lucy Burge all’inizio e durante la "Danza delle ore" si tengono lontane da mero decorativismo per favorire la coerenza dello spettacolo sulla linea delle emozioni dei protagonisti.

La scommessa di Pappano è stata vinta, salutata al termine da ovazioni e battere di piedi sul pavimento del Großes Festspielhaus.
















 
 
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