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Opera Click, 03 Jun 2016 |
Silvano Capecchi |
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Wagner: Die Meistersinger von Nürnberg, Bayerische Staatsoper, 29. Mai 2016
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Bayerische Staatsoper - Die Meistersinger von Nürnberg |
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Siamo in una Norimberga, o meglio, in una qualsiasi città della Germania,
nella quale come per un paradosso temporale di una macchina del tempo
impazzita troviamo mischiati elementi degli anni trenta (costumi degli
apprendisti), quaranta (Magdalene e in genere alcuni abiti femminili),
cinquanta (David, Eva e alcuni Maestri), settanta (Walther – ma si tratta di
una mise che potrebbe essere utilizzata anche in qualsiasi periodo
successivo), ottanta (Pogner e Beckmesser), novanta (le parabole sui
terrazzi delle case scalcinate del secondo atto). Sachs è al di fuori del
tempo e vive e lavora in una roulotte con la scritta luminosa Sachs, che
perderà le due esse (ach), dopo la baruffa (qui un episodio di violenza
gratuita). Le scene, per lo più scure, ci portano in una periferia degradata
dove regna la violenza e le forze dell’ordine (il guardiano notturno –
poliziotto di quartiere del secondo atto, impersonato da un ottimo Tareq
Nazmi) devono soccombere alla banda di teppisti della zona. Walther è un
giovane apparentemente senza arte né parte, giunto in città con la sua
chitarra che amoreggia in un furgoncino con Eva mentre passa la processione
dei fedeli che canta il corale Da zu dir der Heiland kam. Ragazzo ribelle e
insofferente delle regole (alle quali è invece attaccatissimo David, forse
un futuro Beckmesser, come lui schernito e picchiato), dopo il fallimento
della prova, spacca un busto di Wagner e se ne va facendo il gesto
dell’ombrello (il momento meno convinto della prova attoriale di Kaufmann).
Nel finale, dopo il Preislied, rifiuta la coppa del vincitore e, nonostante
la tirata finale di Sachs, volta le spalle a tutti e se ne va con la sua
chitarra e con Fräulein Pogner.
È il finale il momento più
controverso di questa produzione, che ha provocato al chiudersi del sipario
alcune contestazioni. La gara del Johannistag è ripresa dal canale TV di
Pogner, ricco boss del rione, sponsor della manifestazione, nonché padre di
Eva. Al momento della tirata sulla supremazia dell’arte germanica, la
trasmissione, proiettata su un grande schermo nel fondo scena, comincia ad
offuscarsi, appaiono i puntini neri su fondo bianco, indizio di mancanza di
segnale, che si propagano su tutto il palcoscenico, coro e solisti compresi.
Ad un tratto iniziano ad affiorare confuse immagini: si vede una bocca in
primissimo piano con baffetti stile Hitler, poi persone che gridano con
facce stravolte dalla collera (documentario d’epoca? O una manifestazione di
ultras odierni di estrema destra?). Poi, sempre a proposito di
interpretazione dei Meistersinger in chiave storico-politica, c’era stato un
altro momento inquietante: la marcatura degli errori di Walther, durante la
prova del primo atto, aveva luogo con scariche elettriche alla sedia sulla
quale il ragazzo era stato costretto a sedersi. Si può discutere fino allo
sfinimento (e lo è stato fatto) se sia legittimo accostare la musica di
Wagner ad un movimento di là da venire e del quale il compositore aveva
sposato solo alcune tematiche, che pure a suo tempo sarebbero divenute
alcuni dei pilastri del nazismo (nazionalismo e antisemitismo). Ma pur
tenendo conto che i Meistersinger siano stati l’opera più “compromessa” con
il regime, usata durante i congressi annuali e fatta segno di particolari
apprezzamenti da Hitler stesso (le cui frequentazioni con i discendenti del
compositore sono ben note), ritengo che elucubrare sull’ideologia di un
artista riguardo a futuri avvenimenti sia cosa del tutto oziosa.
Può
essere legittimo invece, ma non necessariamente condivisibile, che un
regista sfrutti suggestioni, o meglio incubi, che una musica può suggerire,
indipendentemente dalla volontà del compositore. E in questo caso David
Bösch ha portato avanti le sue scelte con una certa coerenza e con indubbia
professionalità. Il peccato capitale di questa produzione è stato però
quello di non dare il giusto rilievo e di non scandagliare l’immensa gamma
di possibilità offerte da un personaggio come quello del maestro ciabattino,
qui ridotto ad unus inter pares invece di primus, come sarebbe giusto.
E dire che Wolfgang Koch, pur non possedendo il carisma di Bryn Terfel o
la mobilità espressiva di Gerald Finley, resta pur sempre un interprete di
rango, capace di superare l’immenso tour de force che il ruolo comporta, se
non con souplesse, sicuramente con un certo agio; non è interprete banale e
se il personaggio non è uscito fuori a tutto tondo, giudico il risultato
parziale demerito soprattutto del regista (come già detto) e, in parte, di
Kirill Petrenko. Il direttore russo dà della partitura wagneriana una
lettura smagliante, chiarissima, energica, a momenti tagliente e, qua e là,
solcata da sciabolate quasi espressionistiche, in linea con le atmosfere di
Bösch. I dettagli strumentali balzano in evidenza con un nitore
impressionante, grazie a un’orchestra in stato di grazia, e chi cercasse
magniloquenza bayreuthiana d’antan (e non solo), edonismo sonoro, empiti
romantici, estenuati lirismi, resterà deluso. Date queste premesse, i brani
a sfondo patetico o di carattere più intimo, come il monologo del lillà, la
scena tra Eva e Sachs, il monologo della follia o il quintetto del terzo
atto, acquistano una luce nuova, ma li diresti un filino asettici, inglobati
comunque in una lettura di grande coerenza e compattezza.
Chi
beneficia in modo straordinario dell’approccio di regista e direttore, è il
personaggio di Beckmesser, che balza ad un’evidenza quasi protagonistica. Il
Märker è l’uomo che non riesce ad andare oltre le regole, non riesce a
cogliere il nuovo; impossibilitato a staccarsi dalle consuetudini. non può e
non vuole andare oltre. La sua limitatezza, sia a livello artistico, sia a
livello umano, lo rende incapace di soddisfare le sue ambizioni artistiche,
come di essere corrisposto nel suo desiderio di amore. Deriso e bistrattato,
ridotto ad una maschera di sangue nella baruffa-pestaggio, buato al suo solo
apparire già prima della prova, in una mise improbabile, con canottiera a
rete e vestito dorato, affronta l’esibizione, ma non riuscirà a portarla a
termine a causa dell’incapacità di comprendere un testo per lui
inaccessibile da tutti i punti di vista. Sconvolto, vede naufragare tutto;
prima incolpa Sachs del suo fallimento puntandogli contro un’arma, che poi
invece rivolgerà verso se stesso. Grande interprete di questa figura è
Markus Eiche, impeccabile vocalmente e grande talento di artista. Mai un
effetto gratuito, il ruolo è tutto risolto nel canto; l’attore è così
coinvolgente da rendere un personaggio, di solito antipatico o grottesco,
pur con tutte le sue meschinità, se non vicino, certo degno di comprensione
e umana solidarietà. A lui, alla fine, tra le generali ovazioni, forse il
tributo più caloroso del pubblico.
Un personaggio estremamente
semplificato è Walther, come già accennato ridotto a giovane ribelle, in
jeans e maglietta neri e con chitarra al seguito. Nessun dubbio, nessun
ripensamento, va dritto per la sua strada. I suoi interessi maggiori sono la
birra, il fumo, le ragazze (e si ha proprio l’impressione che Eva sia solo
l’ultima, per adesso, di una lunga serie). Jonas Kaufmann si adatta alla
bisogna con spirito ed anche con buoni risultati, ma si capisce che non è
del tutto nel suo elemento. Vocalmente risolve il lungo e impegnativo ruolo
sempre con abilità e, spesso, con bravura, arrivando alla fine, se non
fresco come una rosa, sicuramente del tutto in grado di affrontare il
Preislied con tutti gli onori. Una menzione a parte per Eike Wilm
Schulte, settantasettenne, al cinquantesimo anno di carriera, omaggiato
dalla regia con un simpatico espediente: Kothner, al suo apparire nella
scena finale, viene festeggiato con un video augurale per i cinquanta anni
del vecchio fornaio nella Gilda dei Maestri Cantori, tra gli applausi del
popolo. Schulte conserva una voce ferma e sonora capace ancora di farsi
valere. Come attore poi è tenero e commovente nel raccogliere e carezzare i
cocci del busto di Wagner frantumato da Walther.
Gli altri Maestri
sono meno caratterizzati da Bösch, ma dobbiamo sottolineare il bel timbro e
la bella figura di Christof Fischesser, autorevole Pogner, e la prova
complessivamente professionalissima di Kevin Conners (Kunz Vogelgesang),
Christian Rieger (Konrad Nachtigall), Ulrich Reß (Balthasar Zorn), Stefan
Heibach (Ulrich Eißlinger), Thorsten Scharnk (Augustin Moser), Friedemann
Röhlig (Hermann Ortel), Peter Lobert (Hans Schwarz), Christoph Stephinger
(Hans Foltz).
Sara Jakubiak è una Eva volitiva, ben consapevole di
quello che fa e vuole, spontanea e sciolta in scena, con una voce ben
timbrata e ben proiettata, gestita con ammirevole controllo.
Di
ottimo rilievo anche la coppia Davide – Magdalene, Benjamin Bruns, scatenato
attore, dotato di vocalità fresca e chiara, Okka von der Damerau, di
opulenta figura con uno strumento sonoro e di bel colore. Entrambi
musicalissimi, precisi, comunicativi
Una lode a parte per il coro
diretto da Sören Eckhoff, dal suono compatto, duttile, dalle dinamiche
illimitate.
Come già accennato, successo trionfale per tutti e in
particolare per Petrenko, fatto bersaglio anche di contestazioni da parte di
uno o due isolati buatori. Siamo in democrazia, per fortuna, e tutti i
pareri vanno rispettati. Ma mi chiedo: di fronte ad una prestazione che non
offre il fianco ad alcun rimprovero dal punto di vista esecutivo, ma anzi
presenta alcuni crismi di eccezionalità, ha senso disapprovare rumorosamente
un taglio interpretativo non gradito, anche perché abbastanza inedito? Il
tutto mi ricorda un po’ quelli che fischiavano la Callas perché abituati
alla Caniglia, o ancor di più quelli che contestavano Sinopoli perché troppo
originale e concettoso.
Comunque sia, onore all’Opera di Stato
Bavarese, che presenta, a livello mondiale, una delle stagioni più ricche,
varie e con distribuzioni che noi italiani, ma non solo, ci possiamo
purtroppo solo sognare. La discussione sulle regie è sempre aperta; tutto
sommato, però, direi proprio che i melomani (e gli amanti della musica in
generale) di Monaco di Baviera siano da ritenersi decisamente fortunati.
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