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L'Ape musicale
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di Suzanne Daumann |
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Verdi: La forza del destino, München, 25. Dezember 2013
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Ossessione, sangue e destino |
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In concomitanza con le feste di Natale la Bayerische Staatsoper propone La forza del destino come suggello delle celebrazioni verdiane del 2013. Il cast radunato avrebbe meritato una standing ovation, ma pare che in Baviera non si usi. La regia di Martin Kušej presenta molti motivi d’interesse nell’analisi della psicologia e dei rapporti dei personaggi, radunati attorno alla presenza costante e simbolica di un desco familiare, ma anche qualche motivo di dubbi e perplessità.
MONACO di BAVIERA 25 dicembre 2013 – Non sono mai stata una grande fan di
Verdi e credo che non lo sarò mai. Tuttavia ho avuto modo d’apprendere, da
una dama elegante seduta dietro di me, che le standing ovation non sono
proprio considerate appropriate a Monaco. Una contraddizione? Non
esattamente.
La forza del destino ha momenti musicali sublimi, ma
anche dei passaggi, come nei cori dei soldati, piuttosto triviali, o che
rischiano di risultare noiosi. Non comprendo perché un regista onnipotente
non ne abbia tagliato almeno una parte: tutta la drammaturgia di quest’opera
è piuttosto incoerente. Alcune scene che potrebbero dare una nota di colore
e leggerezza rallentano solamente la narrazione senza aggiungere alcunché.
L’argomento improbabile ha fatto scorrere parecchio inchiostro: Don Alvaro
uccide accidentalmente il padre della sua amata Leonora. Morendo il padre
maledice la coppia e nella scena seguente il fratello di Leonora, in
incognito in una taverna, indaga su Don Alvaro. Per caso Leonora, travestita
da uomo, assiste alla scena e apprende così che l’amato è vivo, ma si
suppone che sia partito per l’America che che il fratello si lanci
all’inseguimento per ucciderlo. Cerca allora rifugio in un monastero.
Qualche anno dopo i due uomini sono soldati nel medesimo reggimento,
ciascuno sotto falso nome; Alvaro salva la vita a Carlo e i due si giurano
eterna amicizia. Poi, in battaglia, Alvaro è ferito e Carlo rinviene fra i
suo effetti personali un ritratto della sorella e comprende di trovarsi in
presenza dell’uomo che deve uccidere: non appena è guarito gli si rivela e
lo sfida a duello, ma lo scontro è sventato dalle forze dell’ordine, che li
separano. Alvaro cerca pace in un monastero, ma Carlo lo ritrova e lo
provoca nuovamente a duello. Ferito mortalmente Carlo cerca aiuto e capita
proprio nell’eremo dove vive Leonora, che cerca di soccorrerlo, ma viene
uccisa dal fratello morente davanti ad Alvaro, che rimane solo.
Almeno, questo genere di storia permette al regista di prendersi delle
libertà rispetto al contesto storico. E in questo senso l’allestimento di
Martin Kušej funziona. Si concentra sull’interiorità dei personaggi e la
rende perfettamente comprensibile. Le scene di Martin Zehetgruber tuttavia
sono incoerenti quanto tutta l’opera. Così il primo atto si svolge in una
sala da pranzo familiare, molto sobria: è qui che il dramma ha inizio,
l’incidente, la morte, la maledizione – ma non è piuttosto la stessa Leonora
a provocare tutto con la sua esitazione, divisa fra l’amore per Alvaro e
quello per il padre? Il fatto che s’abbandoni infine a Dio, rappresentato
dal Padre Guardiano (qui alter ego del padre, interpretato dal medesimo
cantante), sembra parimenti indicare che lei non ha mai veramente superato
la paura del mondo, della vita. Il desco domestico appare durante tutta
l’opera, indicando che si tratta di una storia privata, di famiglia. Ciò
aiuta anche a connettere le scene scollegate dell’opera nella mente degli
spettatori. Anche i costumi di Heidi Hack funzionano bene in questo senso.
Alvaro è subito identificato come una sorta di fuorilegge. con giubbotto di
cuoio, jeans e cintura con fibbia vistosa. Don Carlo di Vargas appare subito
nella prima scena, bambino, con un maglioncino verde particolarmente brutto,
e così si riconosce facilmente nella scena successiva, ora adulto e sempre
con il suo brutto maglione verde. Leonora porta per tutta l’opera il
medesimo abito casto e virginale, con l’aggiunta di un cappello quando si
traveste da uomo nella scena della taverna. Qui la musica ha una variazione
notevole dalla connotazione di un ambiente esuberante e festoso alla pietà
più profonda, e viceversa. Martin Kušej, ahimé, l’illustra con una folla in
movimento perpetuo piuttosto inquietante, e la scenografia mostra… un buco.
Nella scena seguente, però, la cui musica – confesso – mi ha profondamente
annoiata, quando Leonora bussa alla porta del monastero per domandare asilo
è inginocchiata davanti a una porta a soffietto in legno, ornata da un
crocifisso, e alla tavola da pranzo. Nessun elemento visivo, qui, che
turbasse una sensazione di noia.
Per contro, è veramente necessario
utilizzare immagini viste e riviste della guerra in Irak per mostrare che la
guerra è un orrore? Sarebbe un po’ come far sfilare donne nude sulla scena
per spiegare che Don Giovanni parla di sesso. Il pubblico non è così
stupido, vero? E Leonora deve proprio uscire dalla bara e salire, per
qualche magica maniera, dritta verso il cielo, mentre Alvaro canta un’aria
delle più toccanti?
Dubbi e perplessità… e la serata avrebbe potuto
essere abbastanza deludente se non ci fossero stati dei cantati gloriosi in
tutto e per tutti, sì da rendere credibile questa vicenda improbabile. Anja
Harteros è una Leonora formidabile. Con la sua voce magnifica, di miele e
paradiso, s’abbandona totalmente ai tormenti del personaggio. Lei e Jonas
Kaufmann sono veramente, oggi un dream team dell’opera. Il tenore tedesco
con calore, chiarezza e pianissimi emozionanti dà vita al tragico Alvaro.
Ludovic Tézier incarna Don Carlo, in fratello in cerca di vendetta,
assillato e tormentato da questa maledizione che è il motore della sua vita
e dal desiderio di mantenere il giuramento d’amicizia con Alvaro. Il
baritono francese, di forte presenza scenica, canta con grande intensità
musicale. Vitalij Kovaljov interpreta le due parti del Marchese di Calatrava
e del Padre Guardiano con la medesima convincente tenerezza paterna, con
musicalità e timbro caldo. Preziosilla era Nadia Krastaeva, Melitone Renato
Girolami.
Asher Fisch dirige la Bayrische Staatsorchester con
delicatezza nelle sfumature delle grandi arie, ma tuttavia senza gran
convinzione, e mi domando se non fosse stato possibile evitare un po’ di
volgarità nelle scene di massa.
Ma sì, le standing ovation per i
cantanti sarebbero state ben meritate, se soltanto la bienséance di Monaco
lo permettesse.
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