L'opera, ottobre 2012

di Nicola Salmoiraghi

 
Bizét: Carmen, Salzburger Festspiele, August 2012

La grande cavalcata dal Barocco al Novecento - Carmen
 
Carmen, alla Grosses Festpielhaus, è senza mezzi termini, la produzione peggiore del Festival. Mutuata dall'ultimo Festival di Pasqua, quando in buca c'erano i Berliner, d'estate ha visto la partecipazione dei Wiener, sempre guidati da Sir Simon Rattle.
 
Innanzitutto lo spettacolo, inesistente, firmato dalla coreografa Aletta Collins (e infatti il programma di sala recita regia e coreografia di... ), tra ballettini, tacchettii e sgonnellamenti che pensavamo di non dovere più vedere. Quali le grandi novità? Quelle di ambientare l'opera più o meno in epoca franchista, il secondo atto in un cabaret-bordello tutto rosso dove Lillas Pastia è una donna e ne è la tenutaria e il terzo in una fogna, dove tra parentesi Micaela entra senza introduzione e senza guida, taglio demenziale, cantando subito l'aria? Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò! Il quarto atto poi è un incrocio tra le regie di Karajan degli anni Sessanta e Margherita Wallmann. No, forse erano un po' più moderni. Di Sir Simon Rattle si dice sia un grande direttore. Qui non l'ha dimostrato, tra scelte di tempi incoerenti, ora frenetici, ora lentissimi, una freddezza diffusa e soprattutto l'esigenza di render udibile la voce della signora Rattle, Magdalena Kozená; ad un certo punto, durante I'«Aria delle carte», l'orchestra era talmente tenue che si doveva tendere l'orecchio per udirla. Senza contare che, furbescamente, nei momenti topici, la Kozená veniva sulla passerella davanti all'orchestra... Trucco vano: la voce è piccola, senza armonici, secca e arida. L'acuto è sforzato, il grave inesistente. Quando la cantante cerca di raggiungere effetti drammatici con la voce, ne escono suoni di rara, grottesca volgarità. Insomma, con tutti gli sforzi possibili, una modesta Zerlina non può essere una grande Carmen.

Le facevano degna corona la Micaela petulante querula e urlacchiata di Genia Kühmeier e l'improponibile e scomposto Escamillo di Kostas Smoriginas, che dovrebbe dare una ripassata all'abc del canto.

Resta Jonas Kaufmann, aquila solitaria e gigantesco artista come di consueto. Il suo Don José introverso e piagato, timido e violento, ha avuto continui momenti da manuale, tra acuti fulminante strazianti, malinconiche nuances. La sua «Fleur», quasi tutta in pianissimo, in un gioco di accensioni e smorzature, come una confessione dell'anima, è stata un capolavoro. Ma da solo, poteva pochino. Il duetto finale era come assistere ad una pièce teatrale in cui, come bilancia di talenti, accanto a Laurence Olivier recitasse Alba Parietti, se abbiamo reso l'idea...

Completavano il cast Christian van Horn (Zuniga), Andrè Schuen (Moralès), le secondo regia, «gemelline» (inascoltabili) Christina Lanshamer (Frasquita) e Rachel Frenkel (Mercédès), Simone Del Savio (Dancaire) e Jean-Paul Fouchécourt (Remendado), modesti a loro volta. Anche in questo caso Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor e Salzburger Festspiele und Theater Kinderchor.








 
 
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