Musica, febbraio 2010
Stephen Hastings
Bizét, Carmen, Mailand, 10. Dezember 2009
Carmen
 
 
Coloro che si aspettavano da un sovrintendente francese una particolare attenzione per il repertorio francofono - sono tanti i titoli che mancano da troppo tempo dal cartellone scaligero, tra cui non pochi adatti a un'inaugurazione fastosa - sono rimasti delusi dall'operato di Stéphane Lissner. Il quale però ci ha ricompensati in parte aprendo l'attuale stagione con una Carmen in cui i dialoghi parlati - seppure molto accorciati - erano resi generalmente con insolita disinvoltura. Diversi personaggi di contorno sono stati affidati a cantanti di madre lingua - più portati in realtà alla buona dizione -che al buon canto - e non sfiguravano da questo punto di vista neppure gli interpreti principali, in particolare Anita Rachvelishvili (Carmen), Jonas Kaufmann (Don José) e Erwin Schrott (Escamillo). L'intero allestimento era molto curato in ogni dettaglio, ma fin troppo ricco di annotazioni socio-antropologiche che non c'entravano con la drammaturgia di Bizet. Le scene di Richard Peduzzi - non memorabili in sé - erano ben illuminate e davano l'idea di un'ambientazione mediterranea spogliata (un po' troppo consapevolmente) di ogni tentazione oleografica. La regista Emma Dante, che era priva d'esperienza nel teatro d'opera, ha mostrato di aver un discreto orecchio musicale: l'azione sul palcoscenico era sempre in sintonia con i ritmi di Bizet, talvolta con effetti surreali. Si trattava però di una regia decisamente a senso unico nella sua severa coerenza ideologica: la Dante ha deciso di leggere la trama solamente dal punto di vista di Carmen- la gitana che trasgredisce le regole in una società maschilista - minando alla base l'umanità degli altri personaggi. La vulnerabilità psicologica di Don José e la femminilità meno aggressiva di Micaela diventano oggetti di scherno già nel primo atto e i questi due personaggi non recuperano mai una dignità sufficiente per riguadagnare in seguito un interesse più che distaccato.

Questo restringimento dell'impianto drammaturgico della opera - negando appunto la grande umanità che Bizet investe nella musica di José e Micaela - avrebbe potuto funzionare forse se la Rachvelishvili avesse mostrato una carica sensuale fuori del comune, capace in ogni caso di catturare il pubblico. Il mezzosoprano georgiano, che un anno fa era an cora allieva dell'Accademia della Scala, dispone di una voce corposa e omogenea di indubbia qualità timbrica, e si mostra decisamente a suo agio sul palcoscenico, ma il suo fraseggio è stato decisamente carente di quelle sfumature - dinamiche, ritmiche e coloristiche - che servono a dare sostanza psicologica al ruolo, e la cantante non riesce a comunicare gli umori cangianti di Carmen attraverso le espressioni del volto (troppo spesso coperto dalla folta chioma), come faceva Shirley Verrett nell'ultimo allestimento realizzato nella sala del Piermarini, nel 1984.

Kaufmann invece ha fraseggiato con la più grande raffinatezza e l'aria del fiore - con una stupefacente messa di voce sul Si bemolle acuto culminante - gli ha guadagnato applausi ben meritati, ma il tenore tedesco è rimasto troppo fedele alla visione registica per farci comprendere la piena umanità del personaggio e la sua voce - un po' ingolata ma non priva di un certo fascino ombroso - non dispone di quella-solarità tipica del tenore latino che conquista il pubblico in ogni caso. Il basso-baritono Erwin Schrott può vantare invece una vocalità decisamente brillante, ed Escamillo è una parte perfettamente adatta al suo talento istrionico. La sua è stata l'interpretazione più compiuta della serata, mentre la prova più infelice era quella di Adriana Damato: scenicamente compromessa dalla visione parodistica della regista (il personaggio porta l'abito di sposa sotto un ingombrante mantello nero), la sua Micaela era vocalmente priva di smalto e lontanissima da quella indimenticabile di Alida Ferrarini (che fu accolta con ovazioni ogni sera nel 1984).

L'opera era diretta dal maestro scaligero Daniel Barenboim, che non trova nella musica francese un terreno d'elezione (gli manca la leggerezza psicologica necessaria per seguire Bizet nel suo alternarsi di registri espressivi) e ha adottato tempi talvolta lentissimi che non sempre servivano a mettere in evidenza i pregi degli interpreti vocali (l'Habanera sembrava interminabile). L'orchestra ha suonato però con grande smalto ed eleganza e nella scena finale è riuscita a generare una certa tensione tragica (minata però dal disequilibrio tra Carmen e José sul piano scenico). Il coro infine ha offerto una prova superba, di canto e di recitazione.






 
 
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