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Corriere della Serra, 20 febbraio 2015 |
di Valerio Cappelli |
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Kaufmann, il tenore dei tenori: «Io, innamorato di Roma» |
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Intervista al protagonista dell’Aida
diretta da Antonio Pappano, il 27 febbraio per Santa Cecilia, l’avvenimento
musicale dell’anno (tutto esaurito da mesi) |
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ROMA - L’avvenimento musicale del 2015 a Roma è l’Aida di Antonio Pappano
con l’Orchestra di Santa Cecilia, il 27 all’Auditorium. C’è il tutto
esaurito da mesi (era il Verdi con cui Muti avrebbe dovuto inaugurare il
Teatro dell’Opera). Bisogna risalire al 1952 per la precedente produzione
dell’Accademia, con Gavazzeni e Del Monaco. Qui Radames sarà Jonas Kaufmann,
il tenore del nostro tempo. Anja Harteros impersonerà Aida, Ekaterina
Semenchuk, Amneris, Erwin Schrott sarà Ramfis e Ludovic Tézier, Amonasro.
«Sono un terrone tedesco»
Nato 45 anni fa a Monaco di Baviera,
Kaufmann ama l’Italia e si esprime in un perfetto italiano. Si definisce «un
terrone tedesco». A Santa Cecilia cantò in La dannazione di Faust per
l’apertura del 2006: anno in cui diventò il tenore più richiesto al mondo,
dopo La Traviata al Met di New York con Angela Gheorghiu: «Alla fine mi
girai, pensando che alle mie spalle fosse spuntato Domingo. Invece gli
applausi erano per noi. Il pubblico era in piedi». Questa è la sua prima
Aida in assoluto. Come mai ha aspettato tanto tempo? «Non era la mia parte
preferita. L’ho vista tante volte fin da bambino, all’Arena di Verona e in
altre occasioni. La marcia trionfale, non voglio dire che la trovassi una
caricatura, ma è pomposa, si lascia alle spalle solo terra bruciata, come
una macchina da guerra che si mangiava da sola. E così altre pagine. Ho
avuto un’altra impressione quando mi sono messo a studiare la partitura.
Prendiamo Radames: ha uno sviluppo interessante. Giovane innocente prescelto
dagli dei per difendere la patria, poi finalmente può prendere Aida come
moglie. È un sogno irreale. Ma tutto drammaturgicamente funziona. Anche la
voce cambia, nel primo atto non è eroica ma nobile, e il duetto del quarto
atto con Amneris è un combattimento alla pari. Mi chiedo a quale tenore
abbia pensato Verdi quando ha scritto questo ruolo. Perché Otello è un eroe,
Radames invece comincia leggero e dopo ha uno scatto».
«Aida in forma
di concerto? Senza elefanti, si capisce meglio la storia»
Cosa si
perde e cosa si guadagna nell’Aida in forma di concerto, come sarà a Roma?
«Si perdono gli elefanti! E si capisce meglio la storia e anche i problemi
del popolo. Aida è una traditrice oppure no? Normalmente non si capisce.
All’inizio della carriera pensavo fosse sbagliato non andare in versione
scenica. Mi sono ricreduto perché alcune volte le regìe non aiutano lo
spettacolo. Qui a Roma la Warner ne farà un cd, non è facile cantare non in
ordine cronologico, come avviene nelle sessioni discografiche. Ma Toni
Pappano ha trovato soluzioni musicali bellissime, lui è un grande creatore
di atmosfere. In forma scenica, canterò Aida di nuovo con lui a Londra e,
prima, a Monaco di Baviera». Jonas, suo nonno ricorre spesso nelle sue
parole. «È stata una figura fondamentale. Amava la musica, che è sempre
stata presente nella mia vita anche se mio padre temendo per il mio futuro
la vedeva come un hobby per me. Non c’erano molti soldi in casa. Lui veniva
da Erfurt, Germania dell’Est. Riuscì a rifugiarsi nella parte occidentale.
Anche la famiglia di mamma viene dall’Est, Halle e Lipsia». Come raggiunsero
Monaco? «Fu una coincidenza. La mia famiglia si ritrovò in un villaggio
vicino a Monaco in cui venivano radunati i rifugiati, come avviene oggi a
Lampedusa. Per la mia formazione è stato decisivo anche l’altro nonno,
quello materno, fu lui a finanziare per due anni le prime lezioni di canto.
Se questo è il tuo sogno, diceva, devi provare».
Josef, il sex
symbol: «Ci sono abituato, ma per me conta più il canto»
Quando le
danno del sex symbol, la cosa la infastidisce o la lusinga? «È complicato,
se è un complimento espresso con gentilezza fa piacere. Mi ci sono abituato.
Nei primi tempi mi riduceva a un’immagine da cartolina. Il canto è la cosa
più importante, poi viene la capacità di agire sul palco come attore. Ho
anche fatto un film, The Giacomo Variations. Al regista, Michael Sturmiger,
spiegai che ero libero per un giorno e mezzo. Interpreto un conte polacco
che sfida a duello Giacomo Casanova, interpretato da John Malkovich». Come
si fa a pianificare e costruire una carriera all’opera? «Oh, è la cosa più
difficile. Le dirò una cosa controcorrente. Non posso sapere cosa è giusto
per la mia voce da qui a cinque anni. Ci vorrebbe più flessibilità. Io sono
impegnato fino al 2020 e non è una buona cosa. Si accusano i teatri italiani
di organizzare le stagioni un anno per l’altro. Ma io dico che fate bene
voi».
Roma, tra vecchi mori e Michelangelo ammirato in solitudine
Di Roma lei conserva anche ricordi non artistici… «Avevo 18 anni, ero
con degli amici e abbiamo incontrato delle ragazze che abbiamo inseguito
fino all’albergo. Cantai. Ero in via XX Settembre. La gente mi guardava, le
auto si fermarono, le ragazze sparirono. Ci salutarono dalla finestra della
loro stanza. Fine della storia. In questi giorni romani, malgrado lo stress
della registrazione discografica, sono riuscito a fare un tour della città.
Ho potuto visitare i Musei Vaticani da solo, dopo l’orario di chiusura. Ho
visto la Cappella Sistina come poteva vederla Michelangelo. Se non mi ero
già innamorato di Roma, questa è stata la volta buona».
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