IO Donna, luglio 2014
Di Maria Laura Giovagnini
 
BELLI E BRAVISSIMI
Jonas Kaufmann: "Sono un sex symbol al servizio della lirica"
 
“Agli inizi ero insicuro e mi infastidiva il riferimento al fisico, oggi no: ben venga tutto ciò che avvicina il pubblico all’opera” dice il più grande tenore del mondo. Che qui si mette a nudo (metaforico) e confessa tutto: dalle follie d’amore a un certo fastidio. Per quel “noioso” di Werther.

«Eravamo in auto, alla radio davano una canzone pop. I miei figli si sono indignati: “Che scemi a metterla adesso: è vecchissima”. Aspettate: non è dell’anno scorso? “Appunto!”».

Benedetti ragazzi: papà è il più grande tenore del mondo (pubblico e critica, per una volta, concordano), interprete wagneriano per eccellenza ma perfetto anche per Puccini o Verdi, “prenotato” fino al 2021 (sì, 2021), e voi lo trattate così?

Ride, Jonas Kaufmann, con una risatona contagiosa. Solare, allegro, autoironico: «Questo mestiere non è lavoro, è gioia». Una gioia che attualmente si declina in una Manon Lescaut alla Royal Opera House (il 24 giugno sarà trasmessa in diretta nei cinema di tutto il mondo) e in un album che uscirà a settembre (Melodies of a Golden Era, una raccolta di arie dalle operette di Franz Lehár e altri), proprio mentre sarà a Roma per un progetto con Antonio Pappano.

Sicuro sicuro di essere tedesco?
Non so, non ero lì in quel momento. Scherzi a parte: me lo sono chiesto spesso. Poi ho parlato con un esperto di genealogia: in Turingia, da dove vengono i miei, nel XVI secolo si stabilirono tanti artigiani ebrei fuggiti dall’Italia. Chissà! Di certo parla un italiano perfetto. Come lo ha imparato? Mio nonno amava il vostro Paese, quando ero bambino ci venivamo due-tre volte l’anno: prendevamo una casa al mare, spesso a Lido di Classe, in Romagna, e poi giravamo per la penisola. La conoscevo meglio della Germania.

Ha addirittura chiamato i suoi due figli maschi Fabio e Matteo.
Quando è nata Charlotte, 15 anni fa, era molto scura. Quindi per gli altri io e mia moglie (la mezzosoprano Margarete Joswig, da cui si è appena separato, ndr) abbiamo pensato che fosse meglio qualcosa di mediterraneo.

Come spiega loro che l’opera non è roba “vecchia”?
Chiedo: sapete citare cinque motivi recenti che fanno piangere al primo ascolto? Io posso nominare dieci opere (scritte nell’Ottocento) che ti commuovono la prima volta che le vedi.

Quindi non è necessario rinnovarla, come vogliono certi registi estremi?
Nessuno vuol vedere scenografie di cento anni fa, quando era normale cantare un duetto d’amore senza guardarsi, rivolti verso gli spettatori. Oggi non funzionerebbe più. Però non significa che dobbiamo buttare via tutto o stravolgerlo totalmente.

La cosa più audace che le hanno proposto?
Ero agli inizi, mi avevano scritturato per il ruolo del “giovanotto nudo” nel Moses und Aron di Schoenberg. Il regista premise: devi spogliarti. “Ok. Sai che ci sono anche le quattro vergini nude, no? Se le metti sul palco, non c’è problema”. Il discorso finì lì.

A proposito: lei è un sex symbol.
I primi tempi è stato difficile accettare che tutti si fissassero con il fisico, sembrava che la voce non contasse. Ormai se ne può parlare tranquillamente, non credo ci siano dubbi sulle mie qualità. Anzi, penso che questo possa essere un aiuto ad attrarre il pubblico verso l’opera e la musica classica. Ce ne sono altri come me.

Quando è avvenuta questa “mutazione genetica” nella lirica?
Qualcuno piacente c’era già stato, per la verità, come Franco Corelli. Il punto è che viviamo nella società dell’immagine, siamo “viziati” e tanti non riescono a seguire la storia senza un aiuto visivo. Per questo servono protagonisti credibili. Ora poi ci sono i dvd, implacabili quanto democratici: tutti possono vedere il Werther di Parigi o il Parsifal del Met.

Werther pare lontano da lei. L’eroe che le somiglia di più?
Sì, per fortuna non lui: è una sfida renderlo simpatico e credibile, perché è noioso, soffre sempre. Ti verrebbe da dire: mettiti in terapia e basta! Anche Parsifal è difficile da attualizzare. Forse sono più simile al Des Grieux della Manon Lescaut.

Nella vita è così romantico?
Non così tanto, mi controllo: non riesco a liberarmi al 100 per 100 del cervello... Comunque più vado avanti, più capisco: l’importante è quel che viene dal cuore, si deve seguire l’istinto. Quando canta, è più istinto o tecnica? La perfezione non tocca, non emoziona. Se devo scegliere, sceglierò sempre la versione “vera”, non quella “pulitissima”.

Gesto più clamoroso fatto per amore?
A 18 anni, una follia completa: ero a Roma con gli amici e, in un ristorante, abbiamo incontrato delle ragazze. Le abbiamo seguite fino all’albergo, in via XX Settembre. Gli altri mi hanno detto: tu sai cantare, canta! Ho obbedito e si è fermato tutto, pure le auto.

E le ragazze? Sono scese?
No: ci hanno salutato dalla finestra.

Sciocchine incompetenti... A 18 anni cantava già professionalmente?
Cantare è sempre stata una felicità per me: a casa mia si ascoltava tanta musica classica e, a 5 anni, volevo prendere lezioni di piano. Mi hanno detto di no, in compenso mi hanno permesso di entrare in un coro: che sensazione stare lì, dentro il suono. Da allora non ho più smesso. Dopo la maturità volevo dedicarmici totalmente, e invece mi sono iscritto a matematica su insistenza di papà. Mi ripeteva: “Sei un uomo di famiglia, ti piacciono i bambini, non puoi scegliere un lavoro che forse non ti permetterà di mantenerli”. Però non ho resistito: dopo tre anni ho mollato l’università.

Se è un uomo di famiglia, stare lontano da casa sarà un bel sacrificio.
Sì, non avevo considerato quanto avrei girato... Per fortuna c’è internet, e vedo i miei figli ogni sera: quando vanno a letto, leggo loro qualcosa. Non ci sono vie di mezzo coi bambini: o nessun contatto finché torno (così dimenticano che hanno bisogno di me), oppure il contatto quotidiano.

Si divertiranno a sentirla leggere: lei è famoso anche per le sue capacità attoriali. Frutto della scuola?
Ho studiato recitazione, non so se mi ha aiutato. Forse è più utile l’occhio che ho per vedere la vita, è la vita che ci insegna . Quando vado in metrò...

Va in metrò?
Sì, è pratico.

E se la riconoscono?
Che problema sarà firmare un autografo? In metrò si trova di tutto per ispirarsi. È come un giardino enorme il nostro mondo, basta guardar bene.







 
 
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