La Stampa, 16/11/2010
ALBERTO MATTIOLI
 
Jonas Kaufmann "Cari teatri italiani se mi volete, svegliatevi"
Il tenore star: arrivano sempre tardi

Attualmente è il più famoso tenore del mondo. E anche il più discusso: non piace a tutti perché se sul musicista, l’interprete e l’attore c’è poco da (ri)dire, il timbro è molto particolare e la tecnica non certo quella classica «all’italiana». Da qui infinite discussioni recentemente rinfocolate dall’uscita dell’ultimo cd Decca, Verismo arias, tutto un repertorio di opere «da coltello» da Cav&Pag in giù (ma ci sono anche titoli che «veristi» non sono affatto, tipo Mefistofele, Giulietta e Romeo di Zandonai e addirittura I Lituani di Ponchielli) che è una scelta piuttosto insolita per un tedesco. Però è italiana l’orchestra, quella di Santa Cecilia, e mezzo italiano il direttore, Antonio Pappano. Quanto al look del nostro, qui discussioni non ce ne sono: lo testimonia l’idolatrico successo presso signore e gay, i quattro quinti del pubblico dell’opera.

Lui è Jonas Kaufmann, 41 anni, bavarese di Monaco, il tenorissimo che ha fatto un’iniezione di sano divismo a un mondo dell’opera che di divi ha sempre avuto bisogno. Peraltro, i panni della star gli stanno larghi perché l’uomo è capace di farsi delle sane risate. Anche sulle sue corde vocali non infallibili, se quest’estate ha deluso mezzo mondo annullando due Lohengin a Bayreuth e un recital a Salisburgo, fra scene di disperazione di fan in gramaglie come non si vedevano da tempo.

Già la si accusa di prendere troppi impegni.
«A me dispiace annullare, ma se non sto bene, non sto bene. Ed è meglio deludere il pubblico una sera che abbreviarsi la carriera cantando su una faringite».

Perché un disco d’arie veriste?
«E perché no? È un repertorio splendido».

Ma anche fuori moda.
«Vero, ma è un peccato. Venerdì canto Adriana Lecouvreur qui a Londra e la trovo un’opera magnifica».

Però da lei vogliamo dei personaggi psicologicamente complicati, tipo il suo magnifico Werther, non le parti da tenorone italiano.
«Ma io Werther o Lohengrin non li abbandono. Però ho sempre sognato di cantare Andrea Chénier o Cavalleria rusticana. Certo, so che sono opere pericolose...».

Pericolose, perché?
«Perché è musica che si canta a nervi scoperti, molto passionale. Il rischio è di farsi trascinare, di strafare: e per la voce non va affatto bene. Per questo finora ho sempre rifiutato Otello».

In compenso si dice che debutterà un’infinità di titoli.
«Già stabiliti Chénier, Cavalleria e Pagliacci, La fanciulla del West, Manon Lescaut, Il trovatore, La forza del destino e Les troyens».

Salute! Naturalmente, di tutto questo in Italia nulla...
«A me piacerebbe, ma come si fa? In Italia ti chiedono la disponibilità con un anticipo di sei mesi invece che di cinque anni come si fa nel resto del mondo. E io non posso tenermi libero tre mesi all’anno aspettando che qualche teatro italiano si svegli. Comunque in febbraio tornerò alla Scala (dove ha inaugurato l’ultima stagione con Carmen e successo personale, ndr). Titolo: Tosca».

Lo sa, vero, che la regia di Bondy vista al Met e a Monaco a Milano non passerà? E magari per una volta anche con ragione...
«A Bondy l’ho detto anch’io: guarda che se fai questa Tosca alla Scala sono guai. Bondy è un grande regista ma secondo me questa volta non ha preso l’opera sul serio. Però verrà a Milano a rimontarla e lì spero che si aggiusterà tutto».

Nelle librerie tedesche c’è la sua autobiografia. A 41 anni, non è un po’ presto?
«Anche secondo me. Ma visto che un libro su di me l’avrebbero scritto comunque, meglio farlo direttamente io insieme a uno dei non molti giornalisti che quando parlano d’opera sanno di cosa scrivono».

Se non fosse stato così bello, avrebbe fatto la stessa carriera?
«Non lo so. Però se sono così non è né un merito né una colpa. Il vero problema è che il pubblico dell’opera va anche al cinema e vede la tivù, per cui ha sempre meno fantasia. Una volta era più facile. Entravano in scena Pavarotti e la Caballé, stavano fermi, cantavano da Dio e tutti erano felici e contenti. Oggi non basta più. E guardi che per noi cantanti non è un bene, perché è diventato tutto molto più difficile».

Continuerà a cantare Wagner?
«Sì. Il prossimo debutto sarà Siegmund a New York».

A quando Tristano?
«Per almeno cinque anni, no. Ti spacca la voce. E a me piace troppo questo mestiere per dover smettere anticipatamente».






 
 
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