L'attuale re della chiave di tenore, Jonas Kaufmann, rende
omaggio al bicentenario di Giuseppe Verdi da par suo. Vale a
dire seguendo le più piccole indicazioni dinamiche ed espressive
dell'autore, anche quelle che di solito rimangono confinate
sulla carta, lettera morta sullo spartito. Come il
difficilissimo acuto sfumando, prescritto da Verdi e quasi mai
rispettato (fra le poche eccezioni il grande Carlo Bergonzi),
nella chiusa di Celeste Aida. Dopo le illustri collaborazioni
nei recital precedenti, Kaufmann (e Verdi) meriterebbe
"accompagnamenti" più curati di quelli effettuati dal maestro
Morandi. La scelta dei brani è orientata a privilegiare i
soggetti tratti dai due drammaturghi più amati da Verdi, William
Shakespeare e Friedrich Schiller. Kaufmann è già uno
sperimentato e meraviglioso Don Carlo, ma lo si vorrebbe sentire
subito anche nei Masnadieri e nella Miller, dove il cantabile di
«Quando le sere al placido» unisce la classe e l'educazione di
un liederista alla passionalità spianata del melos italico.
Kaufmann nei due grandi monologhi («Dio, mi potevi scagliare» e
«Niun mi tema») di Otello promette di diventare un Moro
superlativo, capace di rinnovare il mito di quel ruolo
straordinario e dei suoi leggendari interpreti (ultimi Vinay,
Del Monaco e Domingo). In questo disco ne offre due saggi già
maturi e impressionanti. La sua voce è nata per Verdi, anche
perché, qualità tecniche a parte, ha una dizione superba:
l'italiano l'ha imparato bambino sulle nostre spiagge e nelle
nostre città d'arte. E si sente.
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