Voce inconfondibile per timbro e colore, Jonas Kaufmann affronta
in questo recital un impegnativo programma che, come dimostra la
track List («La donna è mobile», «Se quel guerrier io fossi...
Celeste Aida», «Ah! Sì, ben mio con l'essere...Di quella pira»,
«Di tu se' fedele»,. «Forse la .soglia attinse...Ma se m'è forza
perderti», «O inferno... Sento avvampar nell'anima...Cielo
pietoso rendila», «La vita è inferno...O tu, che in seno agli
angeli», «Oh fede negar potessi!...Quando le sere al placido»,
«Dio! Mi potevi scagliare», «Niun mi tema», «O figli, o figli
miei!...Ah, la paterna mano», «È Lui! Desso, l'Infante...Dio che
nell'alma infondere», con Franco Vassallo, Rodrigo, «Destatevi,
o pietre...Giuri ognun questo canuto») lo porta ad affrontare
l'intero arco della produzione verdiana. Si va dagli anni di
Galera, con I Masnadieri, all'Otello. Al termine dell'ascolto
appare chiarissimo che oggi Kaufmann è tenore verdiano di
riferimento. Intanto la voce, dotata di una prima ottava
baritonale, di un bel centro e di un registro acuto, pronto e
sicuro, gli permette di assolvere a tutte le esigenze della
tessitura. È il caso del Riccardo del Ballo in maschera che,
finalmente, ritrova un tenore spinto, come era in origine, con
la conseguenza di ridare al personaggio it giusto spessore
psicologico e drammatico, anche in virtù di note gravi vere e
non inventate. È il caso di Don Carlo che vuole voce stentorea
come Otello. È il caso di Manrico e della «Pira».
La
completezza tecnica permette a Kaufmann di fare fronte ad una
scrittura che richiede fierezza e nobiltà ottenute attraverso un
canto incisivo dove declamazione e cantabilità si inseguono e
chiarezza di fraseggio, ma anche legato, emissione rotonda,
ampia paletta dinamica, comprensiva di mezzevoci. Va però
osservato che Kaufmann non usa il canto a fior di labbro con
intento virtuosistico, ma come parte integrante del dettato
verdiano. Si ascolti «Celeste Aida». Molto spesso il problema di
questa pagina è stato ridotto alla puntatura da emettere in
piano, trapiantando la mezza voce in esecuzioni muscolose, con
palese incongruenza stilistica. Kaufmann imposta tutta la
romanza di Radames in una dimensione lirica, fatta di sfumature,
di smorzature, di alleggerimenti, così che la puntatura risulti
coerente e conseguente. Allo stesso modo il Monologo di Otello
viene declamato con forza, ma al momento opportuno la voce
asseconda la frase e la smorza come Verdi esige e come
interpreti, anche famosi, non sono riusciti a realizzare.
Kaufmann dimostra sul campo che senza il completo dominio del
passaggio realizzato sul fiato non si può cantare Verdi.
Un canto così aderente alla partitura, così calato nella musica
redime i limiti di un timbro, che io ritengo affascinante, ma
che non ha la solarità e la bellezza latina, le quali, sia detto
con chiarezza, molte volte sono state usate come scorciatoie per
nascondere una tecnica incompleta ed un approccio piuttosto
superficiale alla vocalità verdiana. Questo stupendo recital,
che si awale tra l'altro dell'ottima direzione di Morandi e
dell'eccellente apporto di masse artistiche in perfetta sintonia
con i brani cantati (benissimo il Coro del Municipale
ottimamente preparato dal Corrado Casati) è la dimostrazione che
l'opera si fa con la voce e la drammaturgia musicale si realizza
nel canto. Solo con un «Celeste Aida» cantato come abbiamo
illustrato, diventa credibile il dramma di Radames, l'intima
contraddizione di un animo dove il confine tra la luce e
l'ombra, tra il dovere e la passione, è così labile. Un altro
esempio: Alvaro si avanza nel Campo di Velletri. Il Recitativo
altema abbandono e concitazione, in un clima di ripiegata
malinconia. In termini tecnici significa un canto ora declamato
ora legato, ora in pianissimo ora in fortissimo, un gioco di
spessori e colori senza il quale la frase si fa inerte.
L'attacco dell'Aria richiede suono morbido, sostenuto, virile
eppure dolce, altrimenti l'interpretazione non si realizza.
L'osservazione è si può estendere anche ad altri brani e ad
altri personaggi.
Ai requisiti fin qui elencati bisogna
aggiungere la dizione chiara, il giusto accento, uno stile
pertinente, scevro di portamenti che increscono al gusto
moderno, libero incrostazioni veriste o da un lirismo troppo
estenuato. Perciò la rovente vocalità di Adorno è drammatica, ma
non turgida. Lo sfogo di Rodolfo è pieno di slancio e parente
prossimo di Manrico, mentre Carlo Moor ha la carica che la
situazione richiede. Con tutto questo non dirò che Kaufmann sia
il migliore tenore verdiano del secolo e che l'esecuzione di
ciascuna pagina sia la migliore in assoluto. Sarebbe ridicolo e
non credibile. Ma è vero invece che non solo oggi Kaufmann non
ha confronti in questo repertorio, ma che è anche in grado di
entrare nella galleria dei migliori interpreti della produzione
verdiana e di potere reggerne il confronto. Come dire che non lo
si ascolta perché non c'è niente di meglio in circolazione, ma
perché i meriti sono reali e lo sarebbero ieri come oggi.
L'incisione è ottima per il bei risalto dato alla voce, per
l'equilibrio tra canto e orchestra, per l'ampiezza della scena
sonora.
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