Questo nuovo CD della Sony Classical è stato inciso in Italia,
presso l’Auditorium Parco della Musica, con l’Orchestra
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Antonio
Pappano, una bacchetta con la quale il tenore tedesco Jonas
Kaufmann e il baritono francese Ludovic Tézier hanno spesso
cantato sulle scene. L’album, intitolato “Insieme. Opera Duets”,
raduna duetti che coprono un arco temporale che spazia dal Verdi
della maturità de Les vêpres siciliennes (i duetti fra Montfort
e Henri del I e III atto), Don Carlos (il duetto fra Rodrigue e
Carlos), quindi nelle versioni francesi, La forza del destino (i
due duetti di scontro fra Don Alvaro e Don Carlo di Vargas e il
loro duetto della barella) e Otello (il finale del secondo atto,
con Otello e Jago), al repertorio pucciniano e non solo (con il
duetto fra Rodolfo e Marcello da La bohème e quello fra Enzo
Grimaldo e Barnaba da La Gioconda di Ponchielli); un percorso
che ritrae quella che, nelle stesse note al CD, viene indicata
come la direzione aperta da Verdi “verso una drammatizzazione
della voce cantata e uno stile vocale più realistico, in
opposizione all’arte più artificiosa del canto ornato nel
belcanto della prima generazione romantica”.
A queste
accensioni appassionate aveva già ceduto Verdi stesso. Si pensi
a quel torrente di lava in musica che è il solenne giuramento
declamatorio che conclude il duetto di Otello, o allo scontro
fra Don Alvaro e Don Carlo di Vargas, alimentato da un odio
insanabile fra i due rivali, mentre in Don Carlos il rapporto
fra tenore e baritono si tramuta dal piano della rivalità a
quello dell’amicizia, che lega i due personaggi, Carlos e
Rodrigue, nel comune ideale di lotta per la libertà delle
Fiandre dalla dominazione spagnola dell’Inquisizione. Comunque
siano le scelte operate per questo album, anche a livello
promozionale-pubblicitario l’intento della raccolta è di passare
un messaggio: quello dell’amicizia fra due artisti, spesso al
fianco sulle scene. Entrambi, nelle note riportate nel booklet,
si lodano a vicenda, fornendo esempi di vita vissuta sulle
scene, che artisticamente li lega attraverso un’intesa cementata
nel tempo. Cantarono per la prima volta a Parigi, in un Werther
del 2010, poi in una memorabile Forza del destino a Monaco di
Baviera nel 2013, mentre mai sono stati assieme sul palcoscenico
in Otello, perché Kaufmann ha debuttato nella parte del Moro di
Venezia a Londra, nel 2017 (ha poi inciso l’opera alcuni anni
dopo con gli stessi complessi di questo CD e la direzione di
Pappano), mentre Tézier ha avvicinato Jago per la prima volta a
Vienna, più recentemente, nel 2021.
Al di là di aneddoti
che li legano sulle scene con un conclamato sodalizio di intesa
artistica, Kaufmann e Tézier rappresentano quello che,
nell’immaginario collettivo, è il meglio del canto moderno per
il repertorio verdiano e non solo. Ovviamente la nostra analisi
parte dai risultati di questo CD, che sono assai significativi,
e non tiene in considerazione come la loro carriera mostri, nel
caso del tenore tedesco, approdi non sempre equilibratissimi
nella resa vocale, anche se sul piano artistico sempre corollati
da quello che fa di lui un tenore non propriamente ortodosso
nell’emissione eppure capace di trasformare anche i difetti in
meriti espressivi altamente artistici. Più uniforme appare il
percorso del baritono francese, passato ad eseguire Verdi e a
divenirne il migliore interprete odierno dopo aver affrontato
ruoli più lirici (affrontati anche nell’ambito del repertorio
francese non prettamente verdiano), acquisendo una drammaticità
di canto maturata col tempo, fondendo il magistero di un canto
morbido e legato con una profondità espressiva più in linea con
quelle che sono le esigenze di un dettato canoro verdiano
attinente alla parola; elemento, quest’ultimo, portato da altri
baritoni oggi famosi al pari di lui verso conseguenze estreme,
saggiamente evitate da Tézier. Siamo dinanzi, dunque, pur con
percorsi apparentemente dissimili, verso l’approdo a risultati
che offrono l’immagine di quello che oggi è la fotografia di un
canto verdiano affinatosi nel gusto, nello stile e nella fedeltà
al testo scritto, e che in loro assume l’espressione massima, al
di là di quelle che sono state e saranno le prove sulle scene
dei singoli interpreti in questione.
Scendendo nel
dettaglio, dopo aver lodato il tessuto orchestrale sempre
teatralissimo offerto da Antonio Pappano, siamo dinanzi a due
cantanti che, appunto, non si accontentano di mostrare la
bellezza delle loro voci, ma interpretano e “sentono” ciò che
cantano: cesellano nota dopo nota, accento dopo accento la
musica legandola al significato della parola. Questo appare già
ad apertura del CD, ascoltando il duetto fra Rodolfo e Marcello,
dove Kaufmann attacca “O Mimì tu più non torni” accarezzando le
ali della nostalgia amorosa nel pensare agli odorosi capelli
della sua Mimì come pochi tenori del presente e del passato
sanno fare, e la fa con quel timbro scuro, se volete anche
velato eppure poeticissimo. Quando le voci si uniscono, si ha da
subito la prova delle meraviglie che questo CD riserverà nelle
tracce successive. Nel duetto da La Gioconda, quando il suono
di Kaufmann qua e là si opacizza, all’opposto il mantello sonoro
di Tézier è saldo e con un’emissione sempre perfettamente
coperta. Si passa a Les vêpres siciliennes, con i duetti fra
Montfort ed Henri del primo e terzo atto, dove la pronuncia
francese di entrambi è accurata ma il canto del baritono
francese appare più “libero”, meno costretto da una tessitura
che mette l’Henri di Kaufmann un po’ alle strette al di là della
innegabile ricercatezza di fraseggio. Nel secondo duetto dei
Vêpres le arcate melodiche morbide e nobili di Tézier fanno da
giusto contraltare al canto più plasmato sulla parola di
Kaufmann, senza però che si avverta alcun contrasto nel rendere
il confronto fra i due sempre teatrale e avvincente.
Eccoci al duetto di Don Carlos, anche in questo caso proposto
nella versione francese, uno dei vertici di questo CD. Qui le
voci sono entrambe a proprio agio. Da un lato, si ammira
l’eleganza del Marchese di Posa di Tézier, il respiro del suo
canto nobile, di alto lignaggio sonoro, da vero grand seigneur;
dall’altro si coglie il tormento di Kaufmann, dell’Infante di
Spagna, riflesso di una psiche inquieta, di un’anima infelice;
un connubio perfetto, non solo vocale ma anche espressivo, che
vede le due voci unirsi nella stretta finale con Kaufmann che
emette taluni suoni alla “tedesca”, sbiancandoli, ma ad arte,
come lui sa ben fare.
Nella Forza del destino, al di là
della mezzavoce che Kaufmann utilizza nel duetto della barella
(magistrale il suo “Or muoio tranquillo”, con la soffice
smorzatura su “Vi stringo al cor mio”), il canto si fa più
muscoloso nei duetti di scontro e vede i due artisti
fronteggiarsi con una forza vocale che non fa forse dimenticare
il titanico involo dei grandi interpreti novecenteschi, ma lo
libera da screziature e contaminazioni veriste, da una
muscolosità di canto fine a se stessa, per quanto inebriante lo
fosse ai tempi in cui Del Monaco e Corelli, Bastianini e Warren,
tanto per citare alcuni fra i nomi più esemplificativi,
regalavano tonnellate di suono granitico che i due interpreti
moderni mitigano, non solo per specifiche caratteristiche vocali
ma perché più attenti a donare al canto quegli accenti nascosti
spesso sacrificati dal titanismo dei passati interpreti. Ed ecco
che Kaufmann canta “No, d’un imene un vincolo” inondandolo di
orgoglio venato di non perduta speranza di riunirsi all’amata
Leonora, di una mestizia venata di toccante sensibilità. Lo
stesso dicasi quando Kaufmann intona, nell’ultimo
duetto-scontro, “Le minacce, i fieri accenti”, tentando di
mascherare il fiero orgoglio ferito con il desiderio di perdono
e pietà mentre Tézier gli risponde provocando la fierezza sopita
del rivale scatenando un duetto dove il furore non cede mai ad
un bieco vociferare, anche quando, con quel “Finalmente” e con
la frase successiva, “Ti fai dunque di me scherno?…/S’ora meco
misurarti, /o vigliacco, non hai core, /ti consacro al
disonore…”, Don Carlo schiaffeggia Don Alvaro portandolo a
brandire la spada.
L’ultimo ascolto è dedicato alla
conclusione del secondo atto di Otello. Qui Kaufmann esegue in
maniera un po’ opaca “Ora e per sempre addio sante memorie”,
perché tenta di scurire il suono seguendo un modello che però
non è totalmente suo e lo pone dinanzi al confronto impari con
l’indimenticato modello lasciato da Mario Del Monaco. Mentre
Tézier, Jago, cesella il “Sogno” senza indulgere in suoni
falsettanti, bensì seguendo il modello della autentica mezza
voce, ricamando la parola (un capolavoro è poi la frase,
riferita al fazzoletto, “un tessuto trapunto a fior e più sottil
d’un velo?”), l’Otello di Kaufmann attende a far esplodere la
gelosia belluina, colorata dal dubbio che la precede alle parole
intonate, come in un sussurro deluso, in “È il fazzoletto ch’io
le diedi, pegno primo d’amor”. Con uguale arte espressiva lo
Jago di Tézier gli risponde con la frase, “Quel fazzoletto ieri
(certo ne son) lo vidi in man di Cassio”, scandita con
un’eloquenza che è difficile immaginare più sibillina e
falsamente allusiva. Dilaga, in chiusura, un giuramento dove i
due interpreti sembrano essere sempre personaggi oltre che
cantanti attenti al suono, complice la direzione di Pappano, che
riesce a trovare, anche in momenti di torrenziale energia sonora
tutta esteriore come questo, ragioni teatrali giuste e
commisurate al momento. Splendida la qualità della
registrazione, come di consueto avviene con la Sony Classical.
Di più non vi saprei narrar, se non consigliare l’ascolto di
questi due giganti del canto e della interpretazione moderna.
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