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Corriere della Sera, 8 marzo 2016 |
di Giuseppina Manin |
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La Milano di Kaufmann «Bellissima e normale»
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L’affascinante tenore tedesco, protagonista al cinema con il documentario «Una serata con Puccini», racconta il suo rapporto con la città della Scala |
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Anche se non siete patite della lirica, passare la sera dell’8 marzo con lui
può essere un bel modo di far festa. Perché Jonas Kaufmann non è solo il
tenore più acclamato del momento ma anche un signore fascinoso, gentile e
simpatico. Capace di rubarti il cuore intonando «E lucean le stelle» come la
cantasse per te, solo per te. Romanza che, con tante altre straordinarie, fa
parte di un film-documento, «Una serata con Puccini», stasera in anteprima
in una serie di cinema di Milano e dintorni. Film che non solo ripropone in
integrale il trionfale concerto tenuto da Kaufmann lo scorso giugno alla
Scala, ma inizia già fuori dal teatro, con il bel Jonas a spasso in
Galleria, l’aria felice del turista in vacanza.
«Sono sempre felice
quando sono a Milano. A cui sono legato da sempre, e non solo per ragioni
musicali», racconta. La prima volta vi arrivò una ventina d’anni fa, agli
esordi della sua carriera. «Era il 1997, Giorgio Strehler mi volle nel cast
del suo “Così fan tutte” che doveva aprire il nuovo Piccolo Teatro. Ricordo
i suoi insegnamenti così precisi, il suo temperamento appassionato, l’attesa
febbrile del debutto. E poi l’incredulità per la sua morte. Così imprevista
e sconvolgente».
Giorni bellissimi e dolorosi. «Hanno segnato la
nascita di un legame con Milano, poi diventato sempre più saldo. Non mi sono
mai sentito straniero qui. Per questo non vado in albergo, preferisco
affittare un appartamento, meglio se non nelle zone chic. Mi piace vivere la
città nella sua normalità. E fare la spesa, perché a me piace cucinare in
casa». Salvo qualche trasgressione in trattoria. «Niente chef stellati,
meglio certi locali di salda tradizione dove si va sul sicuro con risotto
giallo e cotoletta». Così spesso lo si avvista da Abele, popolarissima
osteria di via Temperanza, mentre per i dolci la meta è Cova. «Non quello di
lusso di Montenapoleone, quello verace di viale Monza. Cappuccio e brioche,
ed è subito paradiso».
Il caffè è la sua grande passione. «Quando
trovo un bar dove lo fanno come si deve, cerco di carpirne i segreti al
barista: la giusta temperatura, la giusta pressione dell’acqua…» Ma pur se
innamorato dei quartieri fuori centro, alla fine è la Scala a far da
calamita. «Come una mosca sul miele finisco sempre davanti a quel magico
teatro. O perché devo cantare io, o per ascoltare qualche collega… Ne
approfitto per girovagare, buttare l’occhio sulle ultime tendenze del design
e della moda. Ma la vetrina più straordinaria è quella a cielo aperto. Le
donne di Milano sono una passerella continua di stile ed eleganza. Basta
guardarle per trovare le idee giuste».
A due passi da lì c’è Brera.
«Non resisto mai a entrarci, magari solo per rivedere uno dei miei quadri
preferiti: il “Cristo morto” del Mantegna, lo “Sposalizio della Vergine” di
Raffaello…». Altra tappa obbligata, la chiesa di San Marco. «Con la sua
magnifica acustica, i pensieri verdiani che evoca… Lì fu eseguito per la
prima volta il suo “Requiem”. Un brano sacro scritto da ateo capace di
toccare ogni corda della religiosità. Ogni volta che lo canto mi commuove».
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