l'opera, Dicembre 2021
Di Sandro Compagnone
 
Verdi: Otello, Teatro San Carlo Napoli ab 21.11.2021

La verità è nella musica
 
Michele Mariotti e l’eccellente cast punti di forza dell’Otello che ha inaugurato il San Carlo

La stagione d’opera del San Carlo di Napoli si è aperta con Otello di Giuseppe Verdi, alla presenza del Presidente Napoli: Michele Mariotti e l’eccellente cast della Repubblica Sergio Mattarella, in un teatro stracolmo che si specchiava nel tipico glamour delle serate di gala. Al momento dell’Inno di Mameli il pubblico ha azzardato un coro e l’orecchio implacabile del recensore registra una buona intonazione ma una quadratura ritmica sballata. Scherzi a parte, è stata una festa, con una macchia tanto clamorosa quanto in parte inspiegabile. Alla fine il regista Mario Martone, nonostante sia molto amato nella sua città, all’apparire al proscenio si è beccato una dose di fischi e boo troppo consistente per essere liquidata con la formu- la dei “dissensi isolati”. A nostro avviso, stavolta Martone è caduto nella trappola del déja vu, un peccato che ad altri registi viene rego- larmente perdonato, ma che stavolta – forse perché le aspettative erano alte – gli è costato caro.

La vicenda viene ambientata ai nostri giorni: tute mimetiche, mi- tra, un televisore nella stanza di Desdemona, e insieme alla nave di Otello approdano anche un paio di canotti carichi di migranti. Martone è regista geniale (ricordiamo ancora la sua meravigliosa trilogia mozartiana) ma stavolta è sembrato svolgere un compitino prevedibile: la funesta dialettica Occidente-Medioriente non ha au- tentici guizzi, ma nemmeno forza la mano, accomodandosi in una routine che in fondo non meritava una reazione così negativa. Un po’ incongruo che Desdemona venga dipinta come una donna risoluta e combattiva, che prima di essere sopraffatta punta una pistola contro Otello, ma non è certo una fedeltà pedissequa al libretto (il Moro non ha il viso pittato da moro, e va bene) quel che si cerca in una regia. Ancora una volta, piuttosto, ci sembra sottovalutato il ruolo narrativo della musica: non c’è frase di Desdemona in cui Verdi non esprima invece arrendevolezza, ingenuità, spaesamento. Secondo noi, le indicazioni registiche andrebbero cercate nella partitura molto più che nel libretto o nelle didascalie, e più che mai in Verdi: celebre la lettera in cui dice che “le mie note o belle o brutte che siano non le scrivo mai a caso e procuro sempre di darvi un carattere”.

Per capirci, si può ambientare qualsiasi opera in un’astronave, a patto che il personaggio non rida durante una modulazione dal maggiore al minore. Allora il tocco di Martone va cercato, se non nell’impostazione generale, in alcuni dettagli di suggestione e intro- spezione: Jago che nel suo Credo, quando canta “viene dopo tanta irrision la Morte… e poi?”, guarda nel buio oltre una porta spalan- cata; il cadavere di Desdemona portato via, così che lo straziante addio di Otello è rivolto a un’allucinazione, come un’allucinazione è stata la sua gelosia.

Le scene di Margherita Palli riproducono un accampamento militare di spoglio realismo (con l’eccezione, nel primo atto, di un mare in tempesta e un cielo stellato nei video di Alessandro Papa); a noi, che all’opera crediamo ciecamente in quel che vediamo, ha emozionato l’ultimo quadro, con la stanza di Desdemona sovrastata dalle nude strutture del teatro e da un livido palazzone del quartier generale. Un senso di gelo ed estraneità che, grazie anche alle luci di Pasqua- le Mari, abbiamo sentito sulla nostra pelle. I costumi di Ortensia De Francesco hanno aderito congruamente al progetto dell’allesti- mento. Sul fronte musicale, tutta l’attesa era naturalmente per la superstar Jonas Kaufmann. Il tenore tedesco sa bene di non essere Mario Del Monaco e di non dover giocare il suo Otello sull’esplosivi- tà. Sceglie saggiamente la strada dell’intimo tormento: e se gli acuti sono sempre sfolgoranti (“esultate” e il duetto con Jago, per fare solo due esempi, hanno attraversato la sala come lame), nel fraseg- gio si è avuta la conferma che, superficiali divismi a parte, che ci sembra più subire che alimentare, Kaufmann è probabilmente il mi- gliore in circolazione. Quando iniziò ad affermarsi, non ci convinceva quel timbro così ingolato: ma oggi è come se avesse liberato il suo canto, acquistandone in trasparenza ed espressività. La sua voce, sempre centrata sul valore teatrale della frase, si dipana come un velluto morbido e avvolgente: convince ad ogni nota, seduce senza ostentare, trasmette un’accorata partecipazione, affascina con un magistero di livello assoluto.

Il fatto che alla fine abbia avuto più ovazioni Maria Agresta di Kaufmann si spiega solo in parte con il fatto che, nativa di Vallo della Lucania, nel Salernitano, il soprano giocasse per così dire “in casa”. Questa Desdemona è forse il punto più alto della sua carriera. Il con- trollo totale della tecnica le consente di muoversi con naturalezza tra prodezze vocali (da brivido mezzevoci e filati) e approfondimenti espressivi. Il timbro è chiaro senza perdere in pienezza, così che la rotondità del canto è sempre al servizio del personaggio e non è vetrina dei propri mezzi. Una prova da incorniciare.

Impressionante lo Jago di Igor Golovatenko. Il baritono russo non ha quel caratteristico timbro brunito in cui a volte sembrano rifu- giarsi i suoi colleghi: fosse un tennista, diremmo che “lascia andare il braccio”, che nel suo caso significa puntare senza risparmio su volumi tonitruanti e armonici ricchissimi. Il suo “Credo”, che avrebbe meritato un applauso a scena aperta, è stato la perla in una prova che non ha mai conosciuto cedimenti. La perfidia del personaggio non scade mai nella caricatura: se Otello è tormentato dalla gelosia, Jago lo è dall’invidia, e questo ne fa un personaggio tragico, che Golovatenko rende con pertinenza e autorevolezza soggioganti. Molto buona la resa di Alessandro Liberatore nel ruolo di Cassio, preciso e sicuro, e ci è piaciuta l’emilia di Manuela Custer, in cui la naturalezza si è sposata all’efficacia. Bene anche Matteo Mezzaro (Roderigo), emanuele Cordaro (Lodovico), Biagio Pizzuti (Montano), Francesco esposito (un araldo). Il Coro guidato da José Luis Basso è risultato compatto e smagliante lungo tutta l’impegnativa partitura. Bene come sempre le voci bianche di Stefania Rinaldi. Sin dall’at- tacco si è capito che Michele Mariotti, di questo Otello, avrebbe dato una lettura febbrile e mai banale. La sua direzione d’orchestra ha tenuto sempre alta la temperatura dell’esecuzione, dando la giusta enfasi anche a quei dettagli con cui Verdi, in poche battute, dipinge un mondo e uno stato d’animo. energico nello scolpire i momenti più infiammati, appassionato negli slanci lirici, serrato nei tempi e at- tentissimo ai colori, Mariotti mette agli atti una concertazione esem- plare. Alla fine dai palchi pioggia di fiori sui protagonisti: applausi entusiasti a Kaufmann, tripudio per Agresta e Golovatenko, ovazioni per Mariotti; dell’accoglienza a Martone s’è detto.



















 
 
  www.jkaufmann.info back top