Giornale della Musica, 09 LUGLIO 2018
di Stefano Nardelli
 
Wagner: Parsifal, Bayerische Staatsoper, ab 28. Juni 2018

Baselitz dipinge il suo Parsifal a Monaco
 
All’Opera Bavarese uno splendido cast vocale per l’opera di Wagner ma la regia non convince
 
Coinvolgere pittori affermati in produzioni d’opera non è certo una novità. Anzi, sono pochi quelli che non si sono misurati con il genere dagli esponenti delle avanguardie di primo Novecento con una marcata propensione alla sperimentazione fino a più composti esponenti dell’establishment al cimento su titoli più classici, spesso su impulso di istituzioni musicali nostrane come il Maggio Musicale o il Teatro dell’Opera di Roma e più di recente il Teatro La Fenice in collaborazione con la Biennale. Se tutti gli artisti in questione sottolineano sempre un’affinità con il genere musicale, il rischio è quello di un sostanziale autismo fra generi che alla fine fa perdere il senso dello strano connubio.

Con singolare coincidenza, due allestimenti wagneriani nelle due capitali del wagnerismo ripropongono questa formula a distanza di qualche settimana: mentre Neo Rauch e la moglie Rosa Loy sono al lavoro per il nuovo Lohengrin che apre l’annuale appuntamento wagneriano di Bayreuth, George Baselitz ha debuttato a Monaco con un Parsifal, che ha provocato più di un dissenso. Tralasciando la dimensione estetica dai caratteristici tratti violenti e monocromatici dell’artista, la debolezza principale è sembrata l’inesistente regia di Pierre Audi, che con Baselitz vanta una precedente collaborazione ad Amsterdam nel 1993 per Punch and Judy di Harrison Birtwistle. Poche le idee messe in campo in questo Parsifal e prese per lo più a prestito dalle prescrizioni sceniche dell’autore, ma la combinazione con la scabra spigolosità dell’estetica baselitziana sfiora spesso il ridicolo. Ridicolo è sicuramente il giardino di Klingsor, che qui ha i tratti buffoneschi di un clown espressionista, abitato da fanciulle fiore per nulla seduttive che esibiscono nudità deformate e decadenti e con quell’enorme parete bianca dipinta a tratti veloci che, davanti al gesto di Parsifal, si incarta come un gonfiabile da spiaggia bucato. Non va meglio per l’agape, in un bosco di abeti che sembra usciti da un libro per l’infanzia, con quella processione insensata di corpi nudi desiderosi (forse) di immergersi in una qualche fonte della giovinezza per acquistare tonicità. Del senso del sacro non c’è traccia ma nemmeno di un incanto teatrale che possa rendere plausibile l’implausibile. Si ha piuttosto l’impressione di girare in un’installazione di Baselitz per le oltre cinque ore dello spettacolo.

Non ne soffre troppo il formidabile cast vocale messo insieme per l’occasione dall’Opera di Stato Bavarese, anche se una regia più accurata avrebbe giovato alla riuscita complessiva. Avrebbe giovato in primo luogo a Christian Gerhaher, cantante raffinatissimo ma qui solo cantante, pochissimo in sintonia con la sofferenza universale di Amfortas (e un paio di stampelle servono a poco), reso con un puntiglio vocale che stride con l’umanità del personaggio e che finisce per risultare lezioso. Anche René Pape per il suo Gurnemanz conta soprattutto sulla sua rodatissima statura di interprete e sulla solidità di mezzi vocali integro perché usati con grande intelligenza. Se Wolfgang Kochriesce a non far sembrare ridicolo un Klingsor che la regia vuole buffonesco e privo della grandezza sinistra del principio del male, è soprattutto per la sua classe di interprete raffinato e introspettivo. E infine loro, Jonas Kaufmann e Nina Stemme, festeggiatissimi dal pubblico. Lasciano scorrere il primo atto senza quasi traccia, ma nel secondo atto tolgono il fiato, in un duetto implacabile e tesissimo. E conquistano senza riserve per la loro classe non comune.

Grande prova anche per Kirill Petrenko, ancora una volta portato sugli scudi dal pubblico di Monaco, almeno quanto il beniamino di casa Kaufmann, se non di pìù. In questo Parsifal, il suo primo, non trova però subito una chiave convincente: il primo atto è condotto in maniera diligente ma manca di tensione drammatica, che arriva invece nel secondo atto, costruito splendidamente fino a un climax emotivo che non lascia scampo (giustamente festeggiato dalle acclamazioni del pubblico a chiusura di sipario), e che nel terzo tocca vertici tragici come non è comune ascoltare. Grande prova della Bayerisches Staatsorchester e di spessore gli interventi del coro.
















 
 
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