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Mentelocale, 10 dicembre 2012 |
Andrea Ottonello |
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Wagner: Lohengrin, Teatro alla Scala, 7. Dezember 2012
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'Lohengrin'. La recensione dello spettacolo
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L'opera di Wagner ha aperto la stagione del Teatro alla Scala. Sul podio,
Daniel Barenboim. La regia è di Claus Guth. Fra gli interpreti, spicca Anne
Dasch nel ruolo di Elsa
C’erano molti più riflettori del solito
accesi sulla Prima di questo Sant’Ambrogio scaligero. Quella che normalmente
è considerata la più importante apertura di teatro al mondo assumeva infatti
quest’anno una rilevanza particolare in virtù del VW, il bicentenario della
nascita, avvenuta nel 1813, di Giuseppe Verdi e Richard Wagner. Ma anche
molto clamore era stato destato da un mesetto in seguito all’annuncio della
fine della collaborazione con l’attuale Sovrintendente e direttore
artistico, il parigino Stephane Lissner, che dal 2015 andrà a ricoprire lo
stesso ruolo all’Opéra della capitale francese.
All’estero, com’è
evidente, le scelte così importanti e strategiche per un teatro di rilievo
internazionale vengono fatte anni prima (e in modo del tutto autonomo dalla
politica!), e qui da noi il dibattito si è subito scatenato e in molti
salotti meneghini si è cominciato a capire come potersi “riappropriare”, in
modo squisitamente italiano, della poltrona che verrà lasciata libera al
termine dell’Expo2015. Ovviamente, basta esterofilia e largo agli italiani.
Speriamo che si pensi anche alla qualità. Giacchè, e questo è il dato
incontrovertibile della gestione Lissner, la Scala, da qualche anno, ha
finalmente ritrovato quel respiro internazionale che le mancava, proponendo
spettacoli a volte estremi, a volte classici, ma facendo discutere. E la
discussione si è animata anche in occasione di questo Sant’Ambrogio, giacchè
in molti hanno addirittura gridato allo scandalo perchè il teatro milanese
avrebbe dovuto aprire con un’opera di Verdi (che sarà protagonista da
gennaio con ben 7 produzioni) anzichè omaggiare il compositore tedesco – del
quale metterà in scena a giugno tutta la Tetralogia, da non perdere.
La risposta di Lissner può così riassumersi: basta provincialismi, avevo
sottomano un cast e un direttore eccellente, volete che mi facessi scappare
questo Lohengrin per sciocchi campanilismi? All’ascolto, è difficile dargli
torto: le prove dei solisti di canto, tutti dello star system, sono nel
complesso più che buone. Particolarmente sorprendente la prova di Annette
Dasch, che è corsa in aiuto del teatro nottetempo (le due cantanti previste
avevano entrambe dato forfait per malattia) e ha lavorato col regista la
mattina stessa della Prima dando poi luogo a una performance vocale e
attoriale davvero magnifica: una Elsa, la sua, letteralmente stralunata e
perennemente assorta in un mondo sconosciuto al resto dei protagonisti, in
pieno accordo con la lettura voluta da Claus Guth.
Il regista
tedesco, infatti, ha offerto una versione dell’opera dominata dalla sua idea
ricorrente dello scavo psicanalitico dei protagonisti: per lui Lohengrin è
un antieroe che ben poco ha di divino, ma mostra tutta la sua fragilità,
anche quando vaga barcollando per la scena o si accartoccia a terra scosso
da fremiti; di certo, non può essere la guida di un popolo che attende
l’erede al trono di Brabante.
Il tenore Jonas Kaufmann, il
“divo” della serata, ha saputo accogliere queste indicazioni a meraviglia
destando viva emozione nel tratteggiare, anche vocalmente, colui che alla
fine si rivela come il figlio di Parsifal. Anche René Pape – alias
Heinrich der Vogler – si è mostrato all’altezza della serata. Più alterna la
coppia di “cattivi” di nero vestiti, Friedrich von Telramund interpretato da
Tomas Tomasson e la perfida Ortrud di Evelyn Herlitzius.
Qualche
parola va spesa sugli aspetti scenici, che sono anche quelli su cui sono
state espresse riserve: pur riconoscendo alle scelte di Guth una loro
coerenza, ha destato infatti perplessità quanto allestito dallo scenografo
(e costumista) Christian Schmidt: un Lohengrin ambientato all’epoca della
composizione, con molto profumo di Prussia, in chiave borghese.
La
scena fissa è costituita da una abitazione a tre lati a due piani con
ballatoi che si affacciano sulla sala/scena, che di volta in volta vede la
presenza di alcuni oggetti, anche naturalistici, funzionali allo svolgimento
del dramma (tra cui un pianoforte d’epoca).
Del mitico cigno restano
solo alcune sparute piume che cadono dal cielo. Su tutto ha dominato la
bacchetta di Daniel Barenboim, musicista straordinario e da quest’anno
direttore musicale della Scala, che per Wagner ha una vera predilezione
trasmessa magnificamente alle masse artistiche meneghine: un suono teso,
intenso, drammatico, levigatissimo nel fraseggio, quasi “tedesco”. Barenboim
ha anche tenuto una lectio magistralis in Cattolica mettendo in luce, una
volta di più, il suo essere un filosofo della musica, ed è stato
festeggiatissimo dagli studenti.
A proposito di giovani, clamoroso il
successo ottenuto all’anteprima del 4 dicembre, cui abbiamo assistito, con
gli under 30 plaudenti e per nulla intimoriti dalle quasi 5 ore di
spettacolo wagneriano.
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