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Amadeus, Agosto 2011 |
GUY CHERQUI
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Mahler: Das Lied von der Erde, Berlin, Philharmonie, 18. Mai 2011
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Abbado, i Berliner, Kaufmann e von Otter: la musica come non l'avete mai ascoltata
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Ci sono serate la cui magia segue lo spettatore ancora a lungo dopo che le
ultime note si sono spente. È il caso di questo eccezionale concerto,
tardivamente annunciato, tenuto da Claudio Abbado e dai Berliner
Philharmoniker in occasione del 100mo anniversario della morte di Gustav
Mahler (18 maggio 1911). II programma, composto da due titoli (('Adagio
della Decima sinfonia e Das Lied von der Erde) che Claudio Abbado aveva
diretto di rado, non poteva che accendere la curiosità. Infatti, per quella
serata, neppure un posto vuoto nella sala della Philharmonie, malgrado i
prezzi molto alti per Berlino. L'Adagio della Decima sinfonia in un primo
tempo stenta a convincere, fino al Corale che esplode con ottoni sontuosi e
corni eccezionali, e da quel momento l'orchestra non smette di brillare di
mille fuochi e l'interpretazione di Abbado, decisamente rivolta verso la
Scuola di Vienna e in particolare verso Berg, fa emergere suoni raramente
valorizzati prima e fa scintillare l'orchestra di luci sino ad allora
sconosciute. Sorprendente. Ma è in Das Lied von der Erde che l'emozione
assale l'ascoltatore, prima per il contrasto sapientemente messo in scena
fra i due solisti, entrambi eccezionali: l'incomparabile Jonas Kaufmann e la
grande Anne-Sofie Von Otter. Jonas Kaufmann esplode a partire da «Das
Trinklied vom Jammer der Erde», la voce domina l'orchestra e mostra un
colore da Heldentenor, con un'attenzione per la dizione del testo e per il
colore che lasciano trasognati. Nelle altre due sezioni, (« Von der Jugend»
e «Der Trunkene im Frühlings»), Kaufmann è di volta in volta più lirico e
capace di una sconvolgente duttilità, seguendo i ritmi sincopati di tutte le
inflessioni della musica.
Incredibile la prestazione di Anne-Sofie
Von Otter: meno spettacolare, riesce anche lei, malgrado una voce più
piccola, a porgerla in maniera tale da non venire mai coperta dall'orchestra
e canta con una naturalezza sconcertante, senza mai creare manierismi, con
una semplicità che diviene presto emozione irreprimibile. Der Abschied si
conclude con una serie di «ewig» (per l'eternità) mormorati, accompagnati da
un'orchestra di un ritegno sereno che non dimenticheremo e che turbano il
pubblico, rimasto in silenzio ben oltre l'ultima nota, in uno stato di
concentrazione che Abbado ha sempre apprezzato nel pubblico berlinese.
Nell'insieme l'interpretazione di Abbado colpisce per la freschezza e la
vivacità e per il senso del colore (molto marcato nei momenti "cinesi").
Laddove spesso si legge un "canto del cigno"; Abbado vede visibilmente un
canto di energia e di vita, che domina per l'eternità l'istinto di morte.
Indimenticabile.
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