A
corollario di lusso dell'opera di Bizet, splendida esecuzione della verdiana
Messa da Requiem
diretta da Daniel Barenboim con un prestigioso quartetto vocale e il Gala
dedicato
ai
quarant'anni scaligeri del gradissimo Placido Domingo, ancora una volta
stupefacente
Carmen, l'opera inaugurale, ha avuto alla Scala un
preludio e un postludio di lusso. Il«Preludio» è consistito in una
straordinaria esecuzione della Messa da Requiem di Verdi, che ha visto
l'Orchestra del Piermarini guidata da Daniel Barenboim, tre giorni dopo che
questo capolavoro del Cigno di Busseto, con i medesimi complessi, aveva
conosciuto un successo trionfale alla Salle Pleyel di Parigi.
Barenboim ci ha regalato una lettura del Requiem di assoluta e originale
bellezza; un'interpretazione affascinante e personalissima che ha forse
sottratto «italianità» a quest'opera dell'ingegno verdiano ma l'ha
pienamente immersa in prospettive e orizzonti più ampi, agganciandola al
panorama artistico europeo a cavallo tra Otto e Novecento. Così questo Verdi
ci ricorda Wagner, Mahler, Bruckner, Cajkovskij eppure resta,
meravigliosamente, se stesso, protagonista e anticipatore del suo tempo e di
ciò che verrà. Grande tra i grandi in un'unica catena i cui anelli di
congiunzione consistono nell'universalità della musica. I momenti in cui la
liquida e ondeggiante bellezza del suono (l'accompagnamento dell'Ingemisco»
era da brivido) si fondevano alla michelangiolesca potenza del terribile
incombere del Supremo (la forza travolgente del «Dies Irae») non si contano,
in una visione memorabile e, ribadiamo «diversa». Ovvero ciò che rende il
fatto musicale qualcosa di sempre nuovo e stimolante, poiché vivo attraverso
I'interpretazione.
Nel sublime Coro scaligero, preparato da Bruno
Casoni, Barenboim ha trovato non solo un supporto insostituibile ma un vero
e proprio «compagno di viaggio»: una compagine che ha ribadito una volta di
più la sua assoluta eccellenza. Un'«unica voce» che si fa strumento
d'intensità espressiva in un caleidoscopio di colori unico.
Tra i solisti di canto sugli scudi la splendida prova di Jonas Kaufmann;
particolarissima voce di tenore, scura e brunita con risonanze quasi
baritonali, Kaufmann canta da padreterno. Gli acuti sono luminosi, argentei,
«grandi» e riempiono la sala senza fatica, le mezzevoci paradisiache
(«Ingemisco» e«Hostias» da manuale, incredibili), l'eloquenza
dell'interprete e l'intelligenza dei fraseggiatore di categoria superiore.
Molto bravo anche René Pape (subentrato all'indisposto Kwangchul Youn):
autentica voce di basso, piena, pastosa, timbrata, uguale in tutti registri,
omogenea nell'emissione. I suo interventi sono stati all'insegna
dell'autorevolezza e dell'ottimo canto.
Sonia Ganassi si è confermata
mezzosoprano di classe, di vellutato colore timbrico e ha cantato con
l'adeguato trasporto unito ad un gusto-raffinato e sorvegliatissimo. Forse
si potrebbe solo desiderare un'oncia di peso specifico vocale in più in
questa scrittura, ma è un desiderio da «pignoli», ce ne rendiamo conto...
Esito meno positivo per Barbara Frittoli, non al suo meglio. L'attuale
«corpo vocale» del soprano è apparso troppo esile per il Requiem - la
drammatica pagina conclusiva del «Libera me» è risultata priva di pathos e
di adeguati accenti - ma, diciamolo, la Frittoli, mozartiana di rango,
cantante adatta al repertorio verdiano forse non è mai autenticamente stata.
L'appoggio dei suoni tende qua e là ad oscillare e il registro acuto ha
mostrato troppo di sovente un retrogusto acidulo, a fronte di piani e
pianissimi invece quasi sempre ben governati. La musicalità indiscutibile di
questo, in altri ambiti, apprezzabilissimo soprano, ha in ogni caso
bilanciato la sua prova.
Al termine successo entusiastico con
applausi e ovazioni durate quasi dieci minuti. Una bellissima serata di
musica... che pareva difficilmente superabile... ebbene, non è stato così.
Il «postludio» ha conosciuto un trionfo ancora maggiore.
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