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L'Eco di Bergamo, 8 dicembre 2009 |
Bernardino Zappa |
Bizét, Carmen, Mailand, 7. Dezember 2009
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Scala, ovazione per la Carmen
E un minuto di silenzio per la crisi |
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Una
Carmen fuori dagli schemi, un'esplosione di colori, variegati e massicci,
densa di movimenti corali e di atmosfere torride, dove la passione dei
protagonisti si fa largo e riverbera tra la moltitudine. Dove per moto
speculare e movimento opposto la folla e il popolo alimenta in modo
incendiario le dinamiche individuali. È la Carmen di Emma Dante, regista di
rottura alla sua «prima» scaligera. Nelle sue tinte si respirano sempre
connotazioni estreme. Estreme come poli di amore e morte, abbracciate al
cuore dell'opera di Bizet.
Un quarto d'ora di applausi (con qualche fischio per la regista) alla fine
dello spettacolo, iniziato con un minuto di silenzio in segno di solidarietà
per la crisi che sta colpendo i lavoratori. Ridotta in sintesi questa Carmen
reca due firme chiare e dominanti: quelle del direttore Daniel Barenboim e
quella della regista palermitana. Questo risultato è per altro la sintesi
del teatro musicale voluta da Stéphane Lissner, perseguita con calma tenacia
in questi quattro anni dal sovrintendente scaligero. La lirica come
spettacolo fatto di due grandi componenti autonome e integrate: la regia e
la musica. Niente di nuovo, si obietterà, se non per il fatto che la regia
gioca un ruolo paritetico con la musica: la partitura non è dominatrice
assoluta, non costringe a ruoli «decorativi e secondari» la regia.
Insomma, in questa Carmen, a 25 anni anni dall'inaugurazione con lo stesso
titolo con Claudio Abbado e Shirley Verrett, Barenboim ed Emma Dante
lasciano fin dalla prima nota la loro firma inconfondibile. Barenboim
disegna con l'orchestra una plasticità fluttuante, diretta e affilatissima,
capace di intensità improvvise e radiose, così come di leggerezze
impalpabili: la sua interpretazione esprime la sua idea di quest'opera, che
«la musica sia un corpo indefinibile», carico di tante componenti diverse
(non solo mediterranee e spagnole) e conferma la sua tesi che la musica
serve per dare «materialità all'anima».
Tra i tanti passi ne segnaliamo uno, di rara suggestione: nell'aria di
Micaela del terzo atto, i vibrati quasi trasparenti degli archi, con il
suono vivo delle corde, inedito e spettrale. Quasi un effetto da colonna
sonora. In generale i tempi staccati dal maestro argentino non sono troppo
celeri: spesso tendono al sostenuto o all'adagio, valorizzando con grande
efficacia il cambio di situazioni. Quella di Emma Dante è una regia del
tutto a sé stante, fuori da ogni schema: non segue una vera e propria
drammaturgia (un racconto sulla scena), ma procede per quadri animati,
diversi e a volte – spesso – giustapposti: così è per il litigio delle
sigaraie nel primo atto, a cui segue il solitario tra Carmen e Don José,
così moltissimi altri, tutti variamente intriganti. Per la Dante la piazza è
come l'anima della vicenda. Si vivono frenetici movimenti, densità assurde e
parossistiche, ma anche vuoti solitari e contemplazioni impassibili,
processioni tratte dal linguaggio della Sicilia tanto cara alla regista.
Caratteristica è anche la presenza, spesso invadente e irriverente, dei
bambini, che si divertono a fare una parodia della marcia dei soldati e far
giravolte in mutande e canottiera. Le grida sovrastano anche in modo
volutamente notevole la musica dell'orchestra. Tra le voci Carmen era la più
attesa. E la georgiana venticinquenne Anita Rachvelishvili, debuttante nel
ruolo, oltre che alla Scala, non ha tradito le aspettative. La sua voce è
morbida, suadente con equilibrio, forse non torbida ed erotica, ma sensuale
con fierezza, brava nel tendere e allentare i fraseggi, molto bella
nell'espressione complessiva del personaggio, coerente da capo a fondo.
Bella, tra le altre, la celebre habanera di Carmen, fluttuante e densa,
molto sensuale nella distribuzione appena appena allentata, sostenuta con
impeccabile omogeneità di timbro. Ascoltando Jonas Kauffman si capisce
perché in Germania, sua terra natale, sia considerato una star nazionale:
slanci vibranti e tensione di timbro sostenta con grande forza e intensità.
Il suo Don Josè è indubbiamente una prova maiuscola, applaudito anche a
scena aperta. Anche il soprano Adriana Damato si disimpegna abbastanza
bene: da unica voce solista italiana riesce a dar un credibile taglio a
Micaela, timbro e volume un po' troppo minuto all'inizio, ma poi lo slancio
e il fraseggio fluido rendono complessivamente buona la sua prova.
L'Escamillo di Erwin Schrott fa la sua apparizione con una vera e propria
parata lungo i tavoli dell'osteria, messi in sequenza come una
pedana-tappeto rialzato. Il baritono si distingue per la voce profonda e
intensa, ruvida nella canzone di Carmen, dalle espressioni sensuali e
torride.
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