|
|
|
|
|
Il Giornale della musica |
Stefano Jacini |
Bizét, Carmen, Mailand, 7. Dezember 2009
|
Più Barenboim che Dante
|
Successo di Carmen alla Scala con alcune contestazioni alle regia |
Barenboim
ha infuso alla "Carmen" scaligera una sontuosa cupezza a tutta l'esecuzione,
spesso con sonorità wagneriane. Anche se il quintetto del secondo atto gli è
riuscito spiritoso e leggero. Esemplari il primo e il secondo intermezzo,
per dolcezza e asprezza di timbri. L'orchestra scaligera al meglio del
meglio.
Buono il cast. Il debutto di Anita Rachvelishvili nei panni della
protagonista è stata una felice sorpresa, ha voce calda, naturalmente
potente, mai una forzatura. Se la cantante soffre di qualche carenza è nella
recitazione. Ha certo impacci di suo, ma il più delle volte sono aggravati
dalla gestualità richiesta (vano pretendere erotismo alzando la gonna al
ginocchio). Il personaggio rimane così bloccato in una drammaticità statica,
deprivata dei risvolti ironici e istrionici che formano l'ambiguità fondante
della Carmencita. Al suo fianco Jonas Kaufmann, tenore dal bel timbro
brunito, talvolta un po' ingolato, che ha dato credibilità e forza al suo
don José. Autorevolmente torvo l'Escamillo di Erwin Schrott, bravissime
e disinvolte Michèle Losier (Frasquita) e Adriana Kucerova (Mercedés). Sotto
tono invece la Micaela di Adriana Damato, per volume e fraseggio. Uno dei
protagonisti dell'opera è quasi del tutto mancante.
La regia di Emma Dante, altra debuttante alla Scala che firma anche i
costumi, è sovrabbondante di "segni" da decodificare. Chiara l'intenzione di
rappresentare un generico Sud oppresso da religione e superstizioni, ma il
continuo susseguirsi di controscene, talvolta affollatissime, costringono
spesso l'azione principale in proscenio, ridotta a modi convenzionali. E'
come se un "horror vacui" avesse guidato la messa in scena, col risultato
che par di assistere a una "opéra-ballet" parallela, ora di non immediata
decifrazione ora ridondante. Vedi i bambini in mutande sulle spalle dei
soldati, che se ne liberano rinunciando alla propria fanciullezza,
informandoci così sulla psicologia della truppa (e nulla sui
contrabbandieri?). Oppure gli enigmatici carotoni verticali nel terzo atto,
mutanti in cespugli e poi in un cimitero dove le prefiche nere depongono
delle croci. Questo per commentare la profezia di morte del trio delle
carte, che ne viene visivamente sopraffatto. La peggiore delle didascalie
visionarie è però l'apparizione del letto con la madre di don José
agonizzante (interpretata da una Micaela canuta che seguita a cantare). Da
segnalare inoltre un tratto distintivo di Micaela ed Escamillo che compaiono
sempre con un codazzo esplicativo. Lei accompagnata da un prete e una croce
retta da due chierichetti, che nel primo atto tendono un siparietto di tulle
per trasformarlo nell'agognato velo da sposa. Il torero invece seguìto da
cinque bianche creature, tipo Madonne da Settimana Santa, che gli srotolano
come credenziali due cartigli con dipinti dei cadaveri di toro. Tutta questa
artificiosità non impedisce comunque situazioni di grande impatto visivo,
come la rissa delle sigaraie e la violenta repressione, il tappeto circolare
da Lillas Pastia che isola gli amanti dal mondo o la cupa sfilata
dell'ultimo atto sotto il gigantesco turibolo.
Le scene di Richard Peduzzi, coi suoi preferiti mattoni rosso scuro, si
richiamano più all'archeologia industriale che a un'architettura del Sud, ma
la loro essenzialità dà rigorosa eleganza a tutto l'allestimento.
Prima dello spettacolo lunghi applausi al presidente Napolitano, alla fine
applausi convinti al cast (con qualche buu per Adriana Damato) e al
direttore con l'orchestra tutta schierata in palcoscenico. Ma insistite
contestazioni a Emma Dante, non solo dal loggione. Tanto che Barenboim si è
sentito in dovere di riapparire a braccetto con lei per difenderla. |
|
Foto: Teatro alla Scala |
|
|
|
|
|