Il Messaggero, 8 dicembre 2009
di Alfredo Gasponi
Bizét, Carmen, Mailand, 7. Dezember 2009
Bizet intimo, quasi cameristico e la “passione mediterranea” non divampa
 
MILANO (8 dicembre) - Dalla Scala, che mira a diventare “teatro nazionale”, era lecito aspettarsi un’edizione musicalmente spettacolare sotto ogni aspetto di un’opera tanto popolare e così spesso eseguita come la Carmen di Bizet, oltretutto in un’occasione importante come l’inaugurazione. Tra l’altro c’era da far dimenticare la precedente e poco felice Carmen scaligera inaugurale: quella della stagione 1984-85 con una Shirley Verrett in declino.

Non sembra di poter dire che questo sia accaduto ieri nonostante un tenore assai bravo e la direzione elegante di Daniel Barenboim, in chiave di musica da camera: colori orchestrali ora accesi ora morbidi, bel ritmo teatrale (realizzato con padronanza assoluta il vivacissimo quintetto a ritmo di tarantella) e ultimi due atti efficacemente impetuosi. Tuttavia nei primi due i tempi tenuti dal maestro sono sembrati un po’ lenti e la “passione mediterranea” di cui parlava Nietzsche a proposito di Carmen ha stentato a divampare.

Per la protagonista, la Scala ha fatto debuttare nel ruolo una cantante del suo vivaio, la giovane georgiana Anita Rachvelishvili, che ha indubbiamente una voce notevole, bella e di ampia estensione, ed è assai musicale. Tuttavia da qui a dire che già da questo esordio sia riuscita ad entrare in tutto e per tutto nel personaggio della gitana, sensuale e voluttuosa nell’Habanera e nella Seguidilla, selvaggia e ironica nel confronto con Don Josè, misteriosa e cupa nella scena delle carte fino alla violenza quasi espressionista del tragico finale, è forse troppo. Per acquistare il potere di seduzione di Carmen ci vuole anche l’esperienza. In ogni modo la Rachvelisvili è sulla buona strada e va seguita con attenzione.

Deludente, e dispiace perché in passato ha fatto sentire belle cose, Adriana Damato come Micaela, voce spesso oscillante e un po’ stridula negli acuti nonché scolorita: e così si perdeva anche la suggestione del contrasto tra il suo personaggio puro e ingenuo e la “peccaminosa” Carmen.

Il tenore Jonas Kaufmann ha interpretato Don José dopo che nell’anteprima di venerdì era stato sostituito per precauzione (aveva una lieve indisposizione) da Riccardo Massi (anche lui, come la Rachvelishili, proveniente dall’Accademia della Scala) il quale pur mostrando discrete qualità non aveva entusiasmato. Qui ci sarebbe da discutere sul sistema dei “cover” adottato dalla Scala: se Kaufmann avesse dato forfait, la sostituzione sarebbe stata adeguata a una “prima”? Comunque, nella perigliosa parte tenorile del giovane inesperto e travolto dalla passione, ruolo sospeso tra lirico e drammatico, il cantante tedesco è stato all’altezza grazie alla voce calda e agli acuti sicuri, e soprattutto dopo la “romanza del fiore”, eseguita da vero liederista, ha ricevuto molti applausi a scena aperta.

Erwin Schrott, che ha i mezzi vocali adatti per affrontare la difficile parte di Escamillo, troppo acuta per un basso e troppo grave per un baritono, rispetto ad altre sue prestazioni ha fornito un’interpretazione non del tutto convincente, rendendo un po’ corrivo il ruolo del toreador; il suo carisma comunque gli ha fruttato molti battimani.

Tra i comprimari, spigliate la Frasquita di Michèle Losier e la Mercedes di Adriana Kucerova, bene anche Francis Dudlak (Dancairo), Rodolphe Brian (Remendado), Mathias Hausmann (Moralès) e Gabor Bretz (Zuniga). Ottimi il coro, preparato da Bruno Casoni, e il coretto dei ragazzi; e di alto livello la prestazione dell’orchestra, specialmente i fiati.

Ieri Carmen è stata data nella versione in cui la scrisse Bizet per l’Opéra-comique di Parigi, nel 1875, in francese e con i “parlati” alternati alla musica. In seguito parte dei dialoghi vennero musicati da Ernest Guiraud, e in questa forma l’opera girò il mondo. Da qualche decennio ha ripreso piede la versione originale, nell’edizione critica curata da Fritz Oeser; e ieri è stata riproposta per l’inaugurazione della Scala, ma in una nuova edizione critica affidata a Robert Didion. C’è chi continua a preferire la versione di Guiraud per il rischio di un calo di tensione nel passaggio dal canto al recitato.
Foto: Teatro alla Scala






 
 
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