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Teatro.org, 30.09.2009 |
Ilaria Bellini |
Londra, Royal Opera House Covent Garden, “Don Carlo” di
Giuseppe Verdi
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COINVOLGENTE DON CARLO
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Visto a Londra, Royal Opera
House Covent Garden, il 18 settembre 2009 |
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Dopo un anno ritorna al Covent Garden il Don
Carlo di Nicholas Hytner; allo spettacolo del 2008 non sono state apportate
variazioni di rilievo e il cast è rimasto in parte invariato, ma la
produzione funziona di più per la direzione ricca di pathos e un nuovo
protagonista capace di elettrizzare l’audience.
La regia è tradizionale e alterna momenti riusciti a soluzioni deboli (come
del resto il generico impianto scenico di Bob Crowley, potenziato però dagli
efficaci giochi di luce di Mark Henderson) e non riesce a rendere tutti i
contrasti e i contenuti di questa opera straordinaria. L’allestimento
privilegia i destini individuali piuttosto che la trama politica, e
l’affresco storico anziché avere portata epica scade nel kitsch. Uno dei
pregi è aver inserito l’atto di Fontainebleau, fondamentale per comprendere
la vicenda e l’evoluzione psicologica dei personaggi, conferendogli un
aspetto fiabesco pertinente e gradevole: uno stilizzato paesaggio invernale
di alberi ghiacciati inquadrato da cornici concentriche che si tinge di
viola e azzurrino ad evocare la magia di una favola nordica o di un
illusorio sogno d’amore.
Un sipario nero disseminato di aperture simili a feritoie cala dall’alto
separando i destini di Carlo ed Elisabetta, introducendo una situazione
bloccata e senza scampo che evoca l’oppressione della controriforma e
dell’autorità paterna. Da feritoie laterali partono fasci di luce che
s’intersecano come lame sulla scena vuota dove galleggia la tomba di Carlo
V, mentre l’infante si aggira nello spazio buio e fumoso che prelude
all’incontro con il “soprannaturale”.
Le finestre quadrate si tingono poi di rosso per introdurre l’interno del
convento caratterizzato da una parete degradante di mattoni rossi che
sembrano Lego di plastica, con un’apertura a forma di croce oltre la quale
scorre un paesaggio assolato e naif di papaveri e cipressi.
L’autodafè è il volto sanguinante di Cristo dipinto su di uno stendardo che
prende fuoco, lasciando intravedere i corpi di creta carbonizzati e contorti
degli eretici, il rogo “sacrilego” è di forte impatto e ben evoca gli orrori
dell’inquisizione, ma l’inutile l’inserimento di una lunga parte recitata in
cui un prete interroga con veemenza un gruppo di eretici allenta
inevitabilmente la tensione di una pagina musicale dalla drammaticità
intrinseca e la chiesa barocca adiacente, sgargiante e dorata contro un
cielo rosso vermiglio, contribuisce al kitsch.
Jonas Kaufmann è il tenore del momento e il suo Don Carlo non tradisce le
aspettative per la capacità di passare senza cesure dall’estremo lirismo al
canto spiegato, infondendo luci e ombre al protagonista. La voce ha timbro
baritonale, ma è assolutamente tenorile per forza ed estensione e
l’attenzione alla parola scenica e il fraseggio sfumato contribuiscono alla
riuscita del ruolo. Un Don Carlo giovane non solo d’aspetto, inizialmente
naif, che illumina con leggerezza giocosa l’atto di Fontainebleau, rendendo
giustizia alla versione in cinque atti. Kaufmann sfuma il personaggio senza
scivolare nell’eccesso, traducendo con il gesto e il canto l’ambiguità di
fondo di Don Carlo, eroe e antieroe al tempo stesso: amante appassionato a
tratti violento, idealista insicuro, infante in cui la debolezza nei
confronti del padre si mischia a ribellione e giovanile irriverenza.
Ritroviamo l’ Elisabetta di Marina Poplavskaya, la ripresa ha giocato a suo
favore e, pur conservando una linea interpretativa algida, è apparsa
maturata e dietro l’espressione altera si percepisce il tormento dell’anima.
Più Isabella che Elisabetta, più regina che amante, affascina per il volto
spigoloso e l’elegante portamento che ricordano le regine del nostro
immaginario. La voce di notevole estensione e carattere ha raggiunto
maggiore sicurezza nell’acuto, ma ha ancora dei limiti nel canto sfumato.
Il Filippo II vecchio e lacerato di Ferruccio Furlanetto conquista ancora
per la gravitas della voce morbida e sfumata, in cui risiede tutta
l’autorità regale. Furlanetto mette in rilievo, con grande capacità di
differenziazione, la diversità di rapporti che il Re intrattiene con gli
altri ed è soprattutto nel rapporto con Posa che tocca vertici di intensità
drammatica e il confronto fra i due grandi di Spagna del secondo atto assume
portata epica e la tensione emotiva vola alle stelle.
Simon Keenlyside non è propriamente baritono “verdiano”, ma la voce lirica
ed omogenea si modula perfettamente sul nobile personaggio di Posa. Il
cantante inglese inoltre possiede tutta l’intelligenza, innata eleganza e
sensibilità necessarie per Posa, conseguendo la piena identificazione con
l’eroe senza macchia luminoso e puro a cui convergono inevitabilmente gli
affetti di padre e figlio.
Marianne Cornetti è una Eboli vecchio stile, di voce ampia e generosa (forse
più adatta ad altri personaggi verdiani che non alla peccatrice perdente di
cui Sonia Ganassi aveva in precedenza tratteggiato un intenso ritratto). Se
nella canzone del velo risulta matronale e poco fantasiosa, in “O don
fatale” sfoggia emissione salda e domina la tessitura impervia con giusto
temperamento.
Grottesco e ambiguo, ma dalla linea vocale compromessa, il Grande
Inquisitore di John Tomlinson. Pumeza Matshikiza (Tebaldo) è un paggio
disinvolto e spumeggiante. Il veterano Robert Lloyd offre un bel cameo di
Carlo V, mentre la giovane Eri Nakamura è una voce del cielo luminosa.
Semyon Bychkov sceglie una direzione energica e trascinante che rende
l’opera avvincente e compensa i limiti di regia. Rispetto alla sensibile
lettura di Antonio Pappano, attenta ai dettagli e alla bellezza di suono ma
in definitiva poco teatrale e coesa, la direzione di Bychkov fa scaturire
tutto il pathos e la “tinta” del singolare capolavoro verdiano e, nonostante
forti sonorità, controlla ottimamente l’orchestra, ottenendo una visione
d’insieme incisiva adatta all’affresco storico.
Più precisa nella ripresa anche la prova del coro, sia da un punto di vista
scenico che vocale, preparato da Renato Balsadonna.
Calorosi applausi per tutti da parte di un pubblico coinvolto e visibilmente
soddisfatto. |
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