Operaclick
Danilo Boaretto
Verdi : La Traviata, Milano, Teatro alla Scala, luglio 2007
Milano - Teatro alla Scala: tirando le somme al termine di Traviata
Dopo la deludente prima recita di Traviata (recensione del 3 luglio) ci siamo chiesti quale potesse essere il reale motivo di interesse in questa ripresa scaligera del dramma verdiano tratto dalla pièce teatrale di Alexandre Dumas. Quindi, tralasciando il richiamo mediatico dato dal debutto (in un’opera) scaligero di Angela Gheorghiu, ci è sembrato utile focalizzare la nostra attenzione verso l’alternarsi di ben quattro differenti cast.

Inutile negare che gran parte dell’attesa degli appassionati, era riservata al debutto scaligero di Elena Mosuc; attesa che la stessa artista ha ripagato con una prestazione maiuscola, da autentica fuoriclasse. La voce della Mosuc, grazie ad un’ottima tecnica, è perfettamente immascherata su tutta l'estensione e questo fa si che, a prescindere dal volume, nessuna sfumatura del difficile ruolo di Violetta vada perduta. Inoltre tanta sicurezza vocale le ha consentito un approccio scenico disinvolto e sempre al servizio della situazione teatrale: il primo atto l’ha vista delineare una Violetta forte, vissuta e totalmente dominatrice della situazione. L’aria in chiusura di primo atto è attaccata lasciando trapelare uno stato d’animo a metà strada tra il trasognato e l’incredulo per poi chiudere con un Follie! Follie… cantato con spavalderia e volto sorridente. Qui la Mosuc dimostra tutta la sua bravura mostrando delle agilità perfette e facendo apparire le salite ai Do ribattuti, Do diesis, compreso il Mi bemolle finale, una cosa da nulla. Inoltre il Mi bemolle finale è stato di una purezza di suono e una tale ricchezza di armonici da far riempire di gioia tutti i presenti; davvero entusiastica e irrefrenabile l’ovazione del pubblico. Ma la grandezza della sua prestazione non si è limitata ad un ottimo primo atto: nel prosieguo della recita ha sfoggiato doti liriche e interpretative impensabili riuscendo, in vari momenti, ma soprattutto nell’addio del passato a far commuovere sino alle lacrime, più di un presente. Al termine del primo atto, ci è sembrato molto carino il gesto di Massimo Giordano il quale, nonostante l’evidente ritrosia di Elena Mosuc, l’ha per un paio di volte invitata e infine convinta, ad avanzare da sola verso il pubblico che non ha esitato a riservarle una meritatissima ovazione. Ci auguriamo che Elena Mosuc ritorni presto a Milano.

Accanto alla Mosuc, il ruolo di Alfredo era, come abbiamo anticipato, ricoperto da Massimo Giordano, un tenore che ha confermato anche in questa occasione, le solite luci ed ombre: ottimi ci sono parsi le physique du rôle, la recitazione, le intenzioni interpretative e la musicalità, mentre la resa vocale non è stata di pari livello. Nella recita del 12 luglio l’emissione, a noi parsa priva di armonici e con un registro centrale gonfiato oltre misura, andava a compromettere la salita verso acuti che suonavano tesi e fibrosi. Giordani ci ha maggiormente convinti nella recita del 16 luglio: forse perché non è caduto nel tranello di ingrossare? Può essere; sta di fatto che ha evidenziato una buona uniformità di emissione, acuti più facili e piuttosto squillanti. In entrambe le recite, il contributo di Giordano è stato generoso ed al termine il pubblico ha contraccambiato con convinzione. Il baritono georgiano George Gagnidze faceva il suo debutto in Scala nel ruolo di Giorgio Germont: ha cantato ponendo molta attenzione al fraseggio, con una linea di canto che cerca di rifarsi a quella dei baritoni grand seigneur, ma senza riuscire ad evidenziare né l’incisività né la cavata con le quali dovrebbe caratterizzarsi il baritono verdiano anche se, la sua prestazione, potrebbe aver risentito un po’ della tipica tensione da debutto.

Altro debutto di un certo interesse è stato quello di Irina Lungu, nel ruolo del titolo. Siamo stati a sentire questa giovane artista rumena dopo averne sentito parlare in termini piuttosto lusinghieri; effettivamente le qualità ci sono, a partire da una indiscutibile avvenenza fisica per proseguire con una vocalità fresca, di bel colore e sufficientemente dotata. Tuttavia la Lungu non è riuscita a convincerci totalmente in quanto sul registro centrale tende ad affondare troppo l’emissione perdendo il corretto immascheramento; fuoco che ritrova effettuando il passaggio verso un registro acuto che, indubbiamente c’è, ma non ci è sembrato sicurissimo. Inoltre ci ha dato l’impressione di avere una certa “predisposizione” a rallentare la frase musicale, per l’occasione già esageratamente rallentata da Lorin Maazel, ottenendo come effetto la perdita della necessaria tensione drammatica. A onor di cronaca, va detto che tutte le difficoltà della partitura sono state superate correttamente da Irina Lungu che alla fine è stata premiata dai convinti applausi del pubblico.

Accanto alla Lungu, abbiamo riascoltato Roberto Frontali, qui decisamente più attento alle sfumature e ai colori rispetto alla prima del 3 luglio.

La recita del 17 luglio riproponeva la Violetta di Angela Gheorghiu e la nostra opinione cambia poco: nel primo atto l’abbiamo sentita fare un po’ di pasticci con le agilità seppur con qualche Do ben riuscito ma soprattutto, l’abbiamo vista agitarsi con movimenti talmente isterici da sembrare comici. Nel secondo e terzo atto ha infuso più intensità vocale rispetto alla prima recita, riuscendo a trasmettere qualche emozione nel duetto con papà Germont e soprattutto nell’ultima scena del secondo atto, interpretata con toni malinconici piuttosto intensi e toccanti. Una recita di livello sufficiente è decisamente poco per un’artista di tal nome.

Nella stessa recita Alfredo era Jonas Kaufmann un ancor giovane tenore tedesco dotato di una voce piuttosto scura, da lirico, tendente al lirico spinto. Anche il volume è consistente e la salita verso un registro acuto sonoro e squillante è ottima, senza mostrare nessuna difficoltà sul passaggio. Queste sono, al giorno d’oggi, rare qualità che, se sfruttate adeguatamente, potrebbero garantirgli un’interessante carriera nel repertorio verdiano e italiano in senso più ampio. Certo per raggiungere questo obbiettivo, Kaufmann deve ancora studiare per acquisire quello stile appropriato che oggi gli manca. I falsettini, i portamenti e le imprecisioni musicali ascoltate l’altra sera, sono inaccettabili, soprattutto cantando Verdi. Ci auguriamo di risentirlo presto, magari con un direttore d’orchestra che pretenda da lui qualcosa di più.

Infine che dire del Giorgio Germont del sempre verde Leo Nucci? Che, manco a dirlo, è stato l’autentico trionfatore della recita del 17 luglio. E’ vero che ormai il pubblico lo ama alla follia, ma questa realtà, nulla toglie agli indiscutibili meriti ancora una volta evidenziati: gran senso della parola, accenti sempre pertinenti, canto sul fiato e enorme presenza scenica. Nulla nel canto di Nucci è lasciato al caso: nel corso del duetto del secondo atto, rivolgendosi a Violetta, anche una frase che spesso passa inosservata, come “Bella voi siete e giovine…”, si arricchisce e assume un significato intenso, a metà strada tra il paterno e il malizioso. Ed è così che la celebre “di Provenza”, diventa un’autentica lezione di canto: sono bastate le salite rotonde, morbide, incredibilmente sul fiato dei Dio m’esaudì per incantare tutti i presenti che al termine hanno tributato al Leo nazionale, un’ovazione meritata e lunghissima, arricchita da moltissime richieste di bis.

Tutti gli artisti impegnati nei ruoli di fianco, si sono mostrati di ottimo livello con una citazione particolare per il tonante e morbido Grenville di Luigi Roni.

Tirando le somme, che dire: sul versante cantanti c’erano tutti gli elementi per attestarsi su un livello adeguato al Teatro in oggetto. Per carità, qualche perla, sparpagliata qua e là, siamo riusciti in ogni caso a coglierla, certo che se ci fosse stata qualche recita con la Mosuc, Nucci (peccato non abbiano cantato insieme), Giordani sugli standard della recita del 16 luglio ci sarebbero state quasi tutte le carte per puntare all’eccellenza. Ho detto “quasi tutti gli elementi”, perché per arrivare all’eccellenza, la direzione artistica, a mio parere, avrebbe dovuto sostituire Maazel. Sono fortemente convinto che un qualsiasi direttore di terza fascia non avrebbe potuto fare peggio, in quest’occasione, del celebre Lorin Maazel il quale ci ha propinato: stacco di tempi lentissimi, improvvise esplosioni di suono, cantanti lasciati in condizione di rallentare ulteriormente. La direzione ha funzionato francamente meglio, solamente nella recita da noi ascoltata con la Mosuc. Ed in chiusura di ogni recita, interminabili e pesantissimi gli accordi finali che, per usare un’espressione toscaniniana, "sembravano dei carri"






 
 
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