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Operaclick |
David Toschi |
Berlioz: La damnation de Faust, Accademia Nazionale di
Santa Cecilia, Roma, 21 Ottobre 2006
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Roma - Accademia S. Cecilia: La Damnation de Faust
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Breslavia sul fiume Oder; Praga sulla Moldava.
Viaggiando fra fiumi e luoghi mai immobili, fra una tappa e l’altra in
diligenza, Hector Berlioz conretizzò, nel 1846, il lavoro iniziato vent’anni
prima che prenderà la sua veste definitiva col nome della Damnation de
Faust.
Apre con questo lavoro la stagione sinfonica dell’Accademia di Santa
Cecilia. In questo 2006/2007 il Parco della Musica ci ricorderà come, per
quanto inconcludente possa essere stata la nostra evoluzione musicale -
perennemente costretti a goderne i piaceri in luoghi inadatti,
maldestramente sfruttati per kermesse politiche – si possano affrontare
percorsi poco battuti prestando la necessaria attenzione al pubblico e al
botteghino.
Sarà così che programmi non particolarmente accattivanti come La damnation
de Faust, i Giocatori di Šostakovič o il Boris Godunov di Musorgskij si
intrecceranno con il Concerto di Natale con la IX Sinfonia di Beethoven o il
Gala straussiano dei primi dell’anno, assicurando mondanità e snobismo,
partecipazione entusiasta e presenza filantropica.
La Damnation de Faust di Antonio Pappano, direttore musicale sulla carta, ma
forse mentore effettivo della stagione, segue le pieghe di questo
ragionamento di soddisfazione delle parti. Da un lato vi è una composizione
romantica, generata su uno dei soggetti più stilisticamente puri del
repertorio, dall’altro vi è l’inquinamento “teatrale” che ne sposta
artificiosamente l’ottica, mostrando al pubblico una composizione sinfonica
e al tempo stesso una proiezione operistica. Se però funziona la prima,
grazie al contributo impagabile di un’orchestra e di due cori, quello
dell’Accademia di Santa Cecilia e quello di Voci bianche di Roma, parimenti
protagonisti eccelsi, la seconda si arresta di fronte alla constatazione che
se di un aspetto drammaturgico, semioticamente pertinente quindi rispetto ai
testi musicale e letterario dobbiamo tener conto, esso non soddisfa per
eccesso di semplificazione, ahimé oramai consueto nelle elaborazioni del
direttore Pappano.
Fra i due fattori, infatti, v’è un abisso incolmabile di coerenza. Fin
troppo enfatizzato l’aspetto sinfonico che fa sì che l’orchestra adotti
spesso dinamiche e timbriche in grado di coprire il canto e l’espressione
dello stesso. Poco curato e al limite della sciatteria invece l’aspetto
teatrale, che sfugge per più di una ragione. C’è, ed è vero, la poca
consistenza del cast. Tre nomi altisonanti non riescono a regalare alcun
momento di forte comunicazione. Diverse le ragioni: alla poca rilevanza
della voce di Jonas Kaufmann, tenore di belle speranze, corrisponde un peso
energico, ma scarsamente gestito, dell’impianto di Vasselina Kasarova,
mezzosoprano di lungo corso ma dalle sfaccettature estremamente limitate e
qui, talvolta, imprecise. Bene si comporta soltanto il baritono Erwin
Schrott, che riesce a restituire un Mefistofele piuttosto verosimile al
personaggio schizzato da Berlioz che più che creatura demoniaca assume, in
questa Damnation, la figura di uno stravagante contadino blasfemo.
Ecco, forse il principale limite di Pappano e della sua lettura è proprio
qui: nell’inspiegabile seriosità religiosa che il direttore anglo-italiano
dà di quello che è un soggetto non strettamente riconducibile a Goethe ma a
un personaggio che fa intrinsecamente parte della mitologia occidentale e
quindi, malleabile e plasmabile alle esigenze di ogni autore che vi si
confronti.
Ecco, forse il limite ultimo della lettura tutta seriosa di Pappano è nel
non aver preso atto del carattere dissacrante di Berlioz, che non si faceva
problemi ad ammettere che «Sì... Dopo il pedale obbligato e la cadenza
finale della fuga, avanza Mefistofele e dice: Vrai Dieu! Mensieur, votre
fugue est fort belle, et telle, qu’a l’entendre on se croit aux saints
lieux. Souffrez qu’on vous le dise: le style en est savant, vraiment
religieux; on ne saurait exprimer mieux les sentiments pieux qu’en terminant
ses prières, l’eglise en un seul mot résume. Maintenant, puis’je à mon tour
riposter par un chant sur un sujet non moins touchant que le votre?». A un
appassionato di musica che andò a trovarlo domandandogli «la vostra fuga
sull’Amen è ironica? Vero che è ironica?», Berlioz rispose: «Ahimé signore,
ho paura di sì!» e sorridendo aggiunse: «Non ne era sicuro!!!». |
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