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GBOPERA, dicembre 8, 2012 |
Alice Zhang |
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Una chiacchierata vicino al camino con il “Dinamico Duo” tedesco |
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In una piovosa mattina a Monaco di Baviera, mi sono seduta a parlare con due
dei più grandi nomi dell’attuale panorama operistico, entrambi in città per
esibirsi nella produzione del Bayerische Staatsoper del Don Carlo. Il tenore
Jonas Kaufmann e il basso René Pape sono arrivati con la proverbiale
puntualità tedesca, in jeans, freschi e rilassati nonostante la lunga
performance della sera precedente. In questo ambito, dove le voci migliori
sono troppo spesso accompagnate da personalità esecrabili, comportamenti
divistici ed eccentricità, Kaufmann e Pape appaiono sorprendentemente
“normali”, benchè celebri. Con loro, non ci sono di mezzo egoismi e arie.
Quando ci si mettono, sono anche dei grandissimi burloni. Con Jonas, un
conversatore accativante che ama ridere, è un piacere parlare e risponde
alle domande con grade entusiasmo ed eloquenza. A differenza di alcuni
cantanti, che io chiamo «cantanti viri-lirici» (belle voci, ma belli e
stupidi), Jonas è uno degli artisti più intelligenti in circolazione, con
una conoscenza profonda e ampia di tutti gli elementi che concorrono a
formare quel Gesamtkunstwerk che è l’opera lirica incluse la storia, la
letteratura, la politica, etc. Inoltre parla correntemente Francese, Inglese
e Italiano. Egli attribuisce la sua inclinazione per le lingue alle sue basi
di Greco antico e Latino che ha studiato da giovane al liceo di Monaco.
Pape, imponente, fascinoso e di una eleganza d’altri tempi, è davvero dotato
di una forse inconsapevole comicità. Benché appaia taciturno e pensieroso,
fa emergere sprzzo di un pungente senso dell’umorismo, cogliendo di sorpresa
e divertondo Jonas e me. Insieme, questi due artisti, creano un team
fantastico: la combinazione dei loro talenti sul palco fa registrare ogni
volta il «tutto esaurito», mentre il loro carisma e cameratismo fuori dalle
scene è unico ed emozionante. Dal 7 dicembre si ritrovano nuovamente insieme
nel Lohengrin di Richard Wagner, Kaufmann nei panni del protagonista e Pape
nel ruolo del Re Heinrich, nello spettacolo di apertura della stagione
2012-2013 della Scala di Milano, un avvenimento che segna anche l’avvio
delle celebrazioni del bicentenario di Giuseppe Verdi e Richard Wagner.
Vorrei iniziare parlando di qualcosa che non sia l’opera. Sappiamo già
che sapete cantare. Parliamo di stile e di moda maschile. Come descrivereste
il vostro stile? So, ad esempio, che a René piace mettere in evidenza il suo
look con tocchi brillanti di colore.
JK: Eccolo, eccolo! (indicando i
calzini rosso acceso di René) È sempre lì, il tocco di colore.
Anche
tu, Jonas, curi molto la tua immagine e sei sempre ben vestito. Che rapporto
hai con la moda?
JK: Devo dire che per me è molto semplice. Sono
stato testimonial di una marca d’abbigliamento per molti anni, il che rende
molto facile la mia ricerca del look. Ora ho smesso di far shopping e di
cercare gli articoli più alla moda, dato che vengo rifornito costantemente
di abiti.
Di?
JK: È un noto marchio sartoriale tedesco, che
amo molto, più conosciuto in ambito femminile che maschile. Le loro
collezioni donna sono vendute in tutto in mondo, mentre quelle maschili solo
in alcuni paesi.
Come descriveresti il tuo stile di tutti i giorni?
Sei più il tipo da blazer e soprabito sportivo o preferisci jeans e T-shirt?
JK: Beh, sai, all’inzio della mia carriera, mi presentavo come mi sono
sempre vestito, molto sportivo, jeans e scarpe da ginnastica. A un certo
punto, credo fosse da qualche parte in Italia, ho scoperto una fantastica
marca di camicie che aveva una linea dai colori colori brillanti. Io adoro
il colore! Ne feci incetta e cominciai ad indossarle ogni giorno alle prove
perché ero orgoglioso di queste mie camicie; ogni giorno ne indossavo una
nuova. E’ stato durante una produzione che il regista mi trattò come un
divo. All’improvviso, mi resi conto che non sei più un giovanotto coi jeans
strappati e la gomma da masticare. Pensai: non contano le tue qualità
vocali, o ciò che fai sul palco o come reciti, conta di più come ti vesti.
Tutt’ad un tratto la gente con cui lavoravo [corsivo mio] diventò molto più
rispettosa di prima. Quindi, da quel momento in poi, mi sono vestito in
maniera più formale e tutto è andato molto bene. Adesso però ho messo in
atto il processo contrario: tornare ai jeans e scarpe da ginnastica perché,
ovviamente, mi sento più a mio agio e posso agire liberamente in scena dove
posso inginocchiarmi o rotolare sul pavimento!
Si certo visto come
René ti maltratta in questo spettacolo! Ti sbatte da una parte all’altra del
palco.
JK: Si, durante le prove mi sono strappato i jeans e bucato un
maglione. A causa sua?! (indicando René)
JK: Certo, sempre a causa
sua! Vogliamo parlarne?… basta guardarlo! E’ si, è,veramente un gran
bullo! (René mormora qualcosa di incomprensibile in tedesco. Risata) e tu
René invece?
RP: Vengo dall’altra parte del Muro (Germania dell’Est)
e da ragazzino non avevo praticamente nulla. Sono cresciuto senza soldi e
quindi no avevo certo cose belle. Quanto ho finito gli studi musicali e sono
entrato nella compagnia del Teatro dell’Opera di Berlino, improvvisamente
passai da un guadagno di duecento a cinquemila marchi di contributo al
perfezionamento – la cifra che percepiva un primario. Fu un enorme salto di
qualità.. Sono come impazzito e volevo comperare tutto. Per anni sono stato
un vero maniaco della moda. Il mio armadio ormai esplodeva e così mi calmai
e ora mi trovo a indossare anche dei capi di dieci anni fa e che sono ancora
nuovi di zecca e mai indossati. Lo stesso discorso vale per le scarpe. Ne ho
accumulate una gran quantità, molte indossate una sola volta e quindi
praticamente nuove.
JK: E quindi non puzzano nemmeno, dopo dieci
anni.
RP: Anche io andavo alle prove in giacca o in blazer, questo mi
tratteneva dal fare cose come rotolare sul pavimento. Agivo in modo molto
diverso. Ora, indosso scarpe sportive e vesto molto più casual per le prove
e così posso muovermi e sentirmi molto più a mio agio senza la paura di
distruggere i vestiti.
Avete uno stilista preferito?
JK: Lui,
ad esempio, ha un fantastico soprabito fatto da uno stilista di Dresda.
RP: Si, mi vesto con dei capi di un bravo stilista che lavora a Dresda
anche se viene dall’Italia. Prima ero un Etro-dipendente. Impazzivo per le
camicie e le comperavo indipendentemente che ci stessi dentro o meno, dovevo
semplicemente averle! Ora, che sto invecchiando, sono più un tipo da Ralph
Lauren.
Ma non ti privi dei tuoi tocchi di colore.
RP:
Assolutamente no….
Devo fare una foto alle tue calze! Sono
fighissime.
JK: Sono di Pac-man!
RP: Vengo dalla Germania
dell’Est; ciò significa che devo indossare calze rosse!
JK: Hahaha,
rote Socken! [in tedesco]
RP: Rimango e sono un moda-dipendente!
Vorrei anche creare un marchio mio e vorrei anche dedicarmi all’interior
designer… se ne avvessi il tempo.
Ah, perfetto, senza volerlo hai già
risposto a una delle domande che intendevo fare: “Cosa fareste se non foste
dei cantanti lirici?”
RP: Io farei decisamente lo stilista.
E
cosa pensi quando ti guardi nello specchio?
RP: La prima cosa a cui
penso è che dovrei comprare uno specchio nuovo.
Perché?
RP: Lo
specchio non restituisce mai un’immagine di me adeguata, quindi devo
comprarne uno nuovo.
Ma fammi il piacere! Stai scherzando, non è ciò
che pensi realmente, vero?
RP: Nello specchio vedo le imperfezioni
come chiunque altro – una piccola macchia, borse scure e gonfie sotto gli
occhi e mi rendo conto che dovrei prendermi un po’ più cura di me stesso. Lo
specchio non mente mai. Quando ti alzi e ti specchi di sera o di notte,
dall’altra parte c’è sempre il tuo doppio. Anni fa ero fermamente convinto
che lo specchio era l’ok per dovere cambiare. Ma ora lo considero come un
amico. L’uomo che è sempre dall’altra parte dello specchio mi dice: “Ok
René, vedi di curarti un po’ di più,” oppure “Stasera sei stato stato
grande!” o ancora “René, stasera hai fatto davvero schifo, ma è meglio che
ci dormi sopra, ne riparliamo domani quando ripassi di qui.”
Ho
ragione io, vedi, lo specchio è un tuo amico e non vuoi davvero
sbarazzartene.
RP: No, certo che no. Lo specchio è tuo è fondamentale
averne uno in cui specchiarci.
E tu, Jonas, sei superstizioso o hai
riti scaramantici che fai prima di salire sul palco?
JP:
Assolutamente no! Pratico regolarmene degli esercizi di yoga. Se mi capita
che devo affrontare un ruolo particolarmente impegnativo, posso anche farmi
un riposino pomeridiano. A volte posso iniziare a riscaldare la voce attorno
alle 11 del mattino, giusto per prepararla. Ma non sono certo dei riti
scaramantici. Non sono uno che arriva ore prima in teatro. Molti colleghi
arrivano in teatro tre o quattro ore prima per riscaldarsi e rileggersi o
ripassare l’intera parte. A una recita di questo Don Carlo [corsivo mio]
sono arrivato 35 minuti prima dell’inizio pur essendo il primo a salire sul
palco, ma questo è il tempo che mi occorre. In un’altra zione, sono arrivato
45 minuti prima perché avevo due interviste televisive da fare. Mi sono
quindi fiondato in camerino per il trucco disturbando il mio caro collega.
(indicando René)
RP: No, no, sono io che ho disturbato te!
JK:
E’ stato divertente. Ero seguito da i cameramen, anche al trucco e,
ovviamente, non volevano far entrare René. Lui, fuori che che “garbatamente”
diceva (imitando la voce profonda e stizzita di René): “Scusate un attimo,
non mi interessano le interviste, ho bisogno di truccarmi immediatamente!!!
Fatemi entrare!!”
RP: Eh, non è andata proprio così! ( facendo il
verso a se stesso, ripetendo l’imitazione fatta da Jonas) Precisamente ho
detto che “Non me ne frega un c…!” (Risata generale, mentre René sfodera il
suo miglior ghigno alla Mefistofele)
Ragazzi ora facciamo i seri e vi
faccio una domanda veramente molto importante. I cantanti lirici russano più
rumorosamente delle persone normali? Utilizzate tecniche di emissione
particolari mentre dormite?
RP: Non so. Sono comunque un russatore.
JK: Forse dovresti chiederlo alle nostre compagne. Che io sappia, non
russo.
Davvero?!
JK: No. Lo giuro. Forse accade una volta
all’anno, se ho un po’ alzato il gomito, ma altrimenti non russo. Ma credo
che i cantanti abbiano una capacità fisica di russare più rumorosamente
degli altri, ne sono certo. (René comincia a imitare il russare)
RP: Alcuni lo chiamano russare. Io lo chiamo relax.
JK: Ah si, certo,
esercizi per il palato molle!
RP: Io canto addirittura durante la
notte. (comincia a canticchiare) Cioé, non canto veramente, ma emetto dei
suoni e al mattino ho già la voce riscaldata. Appena mi sveglio emetto un
“mmmmmmMMMMMM.” (scende velocemente dall’acuto al basso). Se mi riesce bene
allora la voce è in buona forma.
JK: Svariato tempo fa, ero andato ad
un masterclass e l’insegnante ci chiese: “Quanto tempo passate lavorando con
la vostra voce?” C’era chi diceva un’ora, chi novanta minuti, o altro. Io
dissi: “Cosa?! Io ci passo praticamente l’intera giornata!” La prima cosa
che faccio quando mi sveglio è chiedermi: “La voce c’è ancora?” (emette dei
suoni causali per testare la voce). È strano ma è così. Ovviamente facciamo
conto sul nostro strumento, senza il quale non possiamo far nulla.
Quale nazione o città ha il pubblico più esigente? Qui a Monaco il pubblico
è molto cortese e resta per molto tempo dopo la recita per richiamare molte
volte i cantanti sul palco. In questa occasione poi si è andati avanti ad
oltranza, ma ovviamente perché il pubblico ha riconosciuto un’esibizione di
grande classe. In altri teatri il pubblico, secondo me, non ci capiva molto
e tributava delle standing ovation gridando: “Bravo!” a esecuzioni
francamente molto mediocri.
JK: Beh, si dice che quello di Parma è
il pubblico più difficile, non in senso negativo, ma se qualcuno davvero
massacra una parte in Italiano da qualche parte nel mondo, direbbero: “Ah…
se accadesse a Parma probabilmente lo avrebbero già massacrato!” Quindi ci
sarà un minimo di verità, visto che tutti dicono che i parmensi sono molto
critici. Applaudono per tutto ciò che apprezzano e ti crocifiggono
letteralmente se non piaci. Non ho mai cantato a Parma, quindi non posso
parlare per esperienza, rifeirisco solo quanto si dice. È comunque vero che
in ogni teatro si percepiscono delle reazioni molto diverse. Ad esempio, ci
si aspetterebbe che il pubblico inglese sia riservato e molto contegnoso, in
realtà al Covent Garden in realtà sono calorosissimi. A Zurigo, invece, un
teatro in cui canto molto spesso, sai che, bene o male che vada, hai sempre
la stessa reazione da parte del pubblico. Quando un collega arriva per la
prima volta qui, capita sempre che chiede: “Sono andato così male?!” E io
rispondo: “No, ti hanno tributato dei grandi applausi!” E lui:” ma si sono
fermati praticamente subito...” “E’ così che va qui.” È il loro modo di
fare. E’ sempre un’esperienza diversa dovunque tu vada. Personalmente
preferisco il pubblico esigente- quello che, quando ti applaude, molto
probabilmente lo fa perché quella sera sei stato davvero convincente. Questo
è un aspetto che noto molto e che ammiro negli americani. Va anche detto che
non perdono molto tempo – tre o quattro chiamate e poi tutti via a prendere
un taxi. Ricordo però che, in occasione della mia primissima apparizione in
America, quando sono sicuro che per il 99.9% del pubblico ero uno
sconosciuto, ho ottenuto un grande applauso e centinaia di «Bravo!», con la
gente in piedi che mi acclamava. In altri teatri invece, per avere degli
applausi convincenti, devi essere una certo livello di celebrità.
René, qual è il momento della tua vita fino ad ora di cui ti senti più fiero
e cosa speri di raggiungere come traguardo nei prossimi cinque anni?
RP: Il mio momento di maggior orgoglio inizia ogni mattina quando mi alzo e
soprattutto ogni volta che vado in teatro per far musica e dare gioia al
pubblico. Sono sempre soddisfatto quando posso rendere felici gli altri. E
ciò che spero di fare nei prossimi cinque anni è essere capace di continuare
a far questo: riuscire a cantare e cercare di regalare a tutti della buona
musica. |
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