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Amadeus, 17/10/2019 |
Alberto Mattioli |
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Wien, è un’operazione nostalgia il nuovo disco di Jonas Kaufmann
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E così anche Jonas Kaufmann ha scodellato il suo bravo disco rétro,
Wien, che è in realtà una specie di concerto di Capodanno cantato, tutto
dedicato alla città e dolciastro come molte delle sue torte. E dunque
operette celebri e canzoni celeberrime, tutto un valzer e un Prater,
Strauss e Lehár, il buon tempo antico, la Kakania ma senza angosce e
finis Austriae, e che nostalgia invece per la felix Austria.
E
che palle, aggiungiamo pure, benché lui alla fine sia bravissimo,
piacione ma ironico il giusto, non otelleggi anche nel “leggero” come un
Quarto Tenore e anche quando fa il cantante confidenziale abbia una
classe lontana anni luce dagli sbrodolamenti da Claudio Villa dei
poveri, tipo Bocelli o, quod Deus advertat, dai suoi gggiovani
replicanti uni e trini (e anche quattrini, beati loro…).
Non si
capisce però a chi si rivolga un disco del genere. Certo, ci sono le
groupie del bel Jonas, che da lui si farebbero cantare anche Quel
mazzolin di fiori. E probabilmente la Grande Gemania con le sue
propaggini austro-svizzere-mitteleuropee rigurgitano di signore in
dirndl pronte ad andare in brodo di giuggiole e di sekt per quelle belle
musiche del buon tempo andato, ignare che, come ammoniva lord Byron,
“tutti i tempi sono buoni, quando sono antichi”. Aggiungiamo pure i
superstiti fan dell’operetta, un genere che a me personalmente ha sempre
fatto venire attacchi di diabete ma che sicuramente ha ancora i suoi
aficionados, benché sospetti che vivano quasi tutti a Villa Arzilla.
Insomma, magari il disco venderà pure, anzi glielo auguriamo di
tutto cuore perché poi Kaufmann sarà anche divo divino divinissimo ma
resta un gran simpatico, uno dei pochi cantanti lirici in grado di
trasformare i dieci-minuti-dieci e mi raccomando non un secondo di più
concessi al giornalista (chi non ha conosciuto gli uffici stampa delle
major discografiche non sa cosa sia la durezza) in un’intervista vera, e
pure divertente. Però resta questo retrogusto, appunto dolciastro, per
nulla consolatorio e anzi un po’ sinistro, di un’operazione-nostalgia.
Per carità legittima, per carità ben fatta, per carità perfino
piacevole. Ma irrimediabilmente cinica. |
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