Un Cd superbo, senza mezzi termini. E qui potrebbe finire la recensione.
Ovviamente non sarà così. Perché di questa incisione occorre parlare,
eccome.
Innanzitutto per dire quanto siano straordinari i
complessi del santa Cecilia diretti da Antonio Pappano, alias il più
grande direttore «d'opera» del mondo oggi, che non si sgomenta
oltretutto di affrontare un repertorio tanto inviso agli incliti e ai
colti e in realtà non meno che straordinario quanto amato dal grande
pubblico. E lo fa con passione, trascinante esplosione di colori
orchestrali, ricchezza di abbandoni e sfumature. Ed è così che Giordano,
Cilea, Leoncavallo, Mascagni, Zandonai, Boito, Ponchielli risultano non
meno nobili di Mozart, Wagner, Strauss, Verdi, Puccini. La differenza
sta nel manico, come si dice.
E Jonas Kaufmann? Con questa
incìsione sale definitivamente sul trono di «tenore assoluto» del
momento, tanto convincente come Don José o Werther che come Lohengrin o
Florestan. Tutte le principali arie del repertorìo verista - o limitrofo
- sono affrontate con risultato stupefacente.
II timbro di
Kaufmann, scuro, vellutato, dalle risonanze quasi baritonali, è
impreziosito da un registro acuto sfolgorante e timbratissimo, che si
veste di bagliori argentei e il cantante è capace di pianissimi,
mezzevoci e sfumature da brivido.
Ascoltate il suo Andrea Chénier
(«Un dì all'azzurro spazio», «Come un bel dì di maggio», il duetto
finale «Vicino a te s'acqueta» cantato con Eva-Maria Westbroek, note
sicurissime ma interprete un po' freddina), il suo Loris («Amor ti
vieta») il suo Federico («È la solita storia del pastore»), il suo
Maurizio di Sassonia («L'anima ho stanca», «La dolcissima effigie»), il
suo Faust («Dai campi, dai prati», «Giunto sul passo estremo»), il suo
Enzo Grimaldo («Cielo e mar»). Rappresentano un personalissimo miracolo
di tecnica, slancio, accento appassionato, interpretazione virile e
intrisa di decadente estenuazione - pare un ossimoro, ma così è - con
ascese alle vette del pentagramma soggioganti e dolcissime sfumature.
Il fraseggio libero e del tutto nuovo sfoggiato in pagine come
«Vesti la giubba», «Viva il vino spumeggiante», «Mamma quel vino è
generoso» o la «Testa adorata» dalla Bohème di Leoncavallo, possono
sorprendere ma gettano una luce indiscutibilmente nuova e magnetica su
queste pagine, dove ancora una volta Kaufmann ribadisce la grinta
interpretativa di autentico fuoriclasse dei canto.
Un capolavoro
a sé è il lamento di Romeo, «Giulietta, son io» dal Giulietta e Romeo di
Zandonai, dove la disperata, lancinante invocazione sul corpo dell'amata
si fa grido dell'anima in musica e il colore vocale del tenore rifrange
tutte le possibili gradazioni dell'amore spezzato. Grandissimo.
Completano il recital due autentiche chicche: «Sì, questa estrema
grazia» dai Lituani di Ponchielli e «Ombra di luce» di don Licinio
Refice.
Registrazione e spaziatura sonora allo stato dell'arte
per un Cd che non può mancare sullo scaffale di ogni appassionato per
almeno tre motivi: la bacchetta superlativa, un tenore tra i più grandi
di oggi, forse il più grande, e un repertorio che non ci stancheremo mai
di difendere e rivalutare. O meglio, di valutare nel suo giusto,
importantissimo, valore.
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