Classic Voice, ottobre 2013
Elvio Giudici
 
Verdi Album *****
 

Personalità. È soprattutto questo (data ovviamente per assodata la tecnica posta a regolare la linea vocale), a far sì che un'esecuzione s'imprima nella memoria. Un timbro personale e dunque subito riconoscibile gioca ruolo importante, ma secondario rispetto al come lo si usa in faccende quali pulsione dinamica, spessori, inflessioni che in una frase enucleino la parola o addirittura il fonema che si ritengono i più significativi: e far capire pure il perché. Ed è quindi questo che fa di Kaufmann il tenore migliore del momento.

Più della brunitura pur tanto fascinosa del timbro, della robustezza e ampiezza della linea, dello squillo non argentino bensì bronzeo e dunque forse ancor più singolare. È la lancinante malinconia venata d'incredulità ma avvolta pur sempre in una carnosa, notturna sensualità data dall'emissione tenuta tutta a fior di labbro, a rendere l'aria della Miller forse non la meglio cantata secondo gli schemi più classici in fatto d'appoggio e proiezione del fiato, ma di certo la più toccante tra le incisioni moderne. "Celeste Aida" è un capolavoro non per via dell'estenuato, eterno pianissimo in cui sfuma il si bemolle, ma perché questo avviene come logica conclusione d'un continuo altalenare tra maschia incisività e ripiegamento estatico, che perfettamente definiscono il dipolo espressivo su cui Verdi costruisce la psicologia di Radames. Sempre il dato espressivo, dunque (che nasce dal saper cantare, certo: ma è tecnica sapientemente modulata sulle proprie caratteristiche fisiologiche), è quanto rende ovunque emozionante questo recital, sorta di anticipo promettente sulle future scelte repertoriali di Kaufmann, che molti vorrebbero controcorrente o addirittura eccentriche, laddove di certo affronterà invece il grande repertorio tenorile classico: e perché no, se è classico ci sarà pure una ragione, né si vede motivo valido per farlo appannaggio delle mezzecalze solo perché già ampiamente frequentato. Manrico l'ha già cin tasca, e lo canta un gran bene; Riccardo sarà di sicuro da andare a sentire ovunque lo faccia; per Adorno, spero farà il recitativo un po' meno letargico, ma non credo lo frequenterà tanto quanto Alvaro o Don Carlo, che ricevono entrambi tratti quanto mai suggestivi. E circa Otello, presto detto. Sentiamo questi "Dio, mi potevi" e "Niun mi tema", e parliamone: nessun dubbio sarà lui, il Moro dei prossimi vent'anni.

 

 






 
 
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