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Musica, Marzo 2013 |
Stephen Hastings |
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PUCCINI Tosca
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***** |
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Non
dev'essere stato facile per il regista sudafricano Jonathan Kent
proporre una nuova Tosca al Covent Garden nel 2006 dopo il
pensionamento della mitica produzione zeffirelliana concepita per
Maria Callas nel 1964. Ma a giudicare da quest'eccellente ripresa
video, derivata da due rappresentazioni (curate registicamente da
Duncan Macfarland) di sei anni dopo, si tratta della migliore Tosca
realizzata nel nuovo millennio, con un'Angela Gheorghiu assai più
credibile come protagonista che nel film di Benoit Jacquot del 2000
(che ebbe come colonna sonora l'incisione audio diretta da Antonio
Pappano nello stesso anno e poi pubblicata dall'EMI). L'ambientazione
scenica — sostanzialmente fedele a Sardou — è tutt'altro che
didascalica nei dettagli e nel primo atto l'azione si svolge
insolitamente in una cripta dietro l'altare della chiesa. Un luogo
appartato che permiette di concentrare i movimenti in uno spazio ben
delimitato e di sfruttare un'ampia scalinata per le entrate e uscite.
Ma l'intelligenza del regista si manifesta soprattutto nella sua
capacità di sviluppare i personaggi partendo dalle caratteristiche
specifiche degli interpreti (la vanità primadonnesca della Gheorghiu,
l'introversione non priva d'umorismo di Jonas Kaufmann, il lato
animalesco di Bryn Terfel) e nel dare logica a ogni momento
dell'azione. Così la cruciale entrata di Angelotti (avvincente
nonostante l'accento poco idiomatico di Lukas Jakobski), l'uccisione
di Scarpia e la morte di Cavaradossi mantengono alto il tasso di
verità drammatica, e Pappano rimane sempre in sintonia con gli
attori, capace di assecondare con souplesse ogni colpo di scena,
senza falsi pudori e senza eccessi Conici in orchestra (non ho visto
lo spettacolo dal vivo, ma nel video le voci non vengono mai
sopraffatte). La Gheorghiu si conferma qui — almeno nel contesto a
lei congeniale del teatro londinese — una delle grandi cantanti
attrici del nostro tempo. Questa Tosca è all'altezza dell'Adriana del
2011) — che viene premiata agli ICMA di questo mese — e della
Traviata (con Solti) del 1994. Può darsi che in teatro — a causa del
volume limitato della voce — l'impatto della sua interpretazione
fosse minore, ma qui la resa del personaggio è tanto specifica quanto
emozionante (soltanto il salto nel buio finale appare leggermente
timido) e la voce risponde con prontezza, e con timbro gradevole, ad
ogni suggerimento dell'interprete. La sua duttilità tecnica
poi è tale da permetterle di dialogare alla pari, in termini di
musicalità di fraseggio, con Jonas Kaufmann: il più raffinato di
tutti i Cavaradossi immortalati in video. La finitezza del fraseggio
tenorile, con un gioco continuo di rubati e contrasti dinamici, ci
procura infatti un piacere musicale del tutto inconsueto in
quest'opera, ma nello stesso tempo appare sempre psicologicamente
pertinente. Si capisce benissimo che Kaufmann si è avvicinato
all'opera (così come lo stesso regista) solo dopo aver letto Sardou,
e ciò gli permette di dare un insolito spessore etico a un
personaggio un po' troppo sacrificato dalla sinteticità pucciniana.
In totale ed efficacissimo contrasto con il raffinato vocalismo
dei due amanti è l'impasto greve e plebeo dello Scarpia di Terfel
(del tutto diverso dall'aristocratico siciliano delineato da Gobbi
nel 1964). II baritono gallese è non solo fisicamente ripugnante ma
sembra veramente capace di uccidere e di violentare, e ciò garantisce
un secondo atto ad altissima tensione. E se — come nella ripresa
televisiva del 1964 — la pronuncia di alcuni comprimari lascia a
desiderare, il volto dello Spoletta di Hubert Francis è un capolavoro
di viscida ambiguità. |
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