A contatto con Wagner i giovanotti terribili del "teatro di
regia" si sentono autorizzati a sovrapporre drammaturgie
cervellotiche, irritanti, gratuite, ma, per fortuna, accade
anche il contrario, come nel caso di questo affascinante
allestimento di Parsifal, ripreso sontuosamente al Met. Se un
regista sa fare il suo mestiere, cioè raccontare senza glosse ed
elucubrazioni una storia emblematica — il cammino spirituale di
un uomo, Parsifal — i risultati non mancano. È il caso della
messa in scena di Francois Girard, che si è avvalso soprattutto
di scene di grande suggestione atmosferica e materica (il lago
di sangue che allaga il castello del peccato di Klingsor) di
Michael Levine. Girard, senza una sbavatura, ci porta in un
Tempo divenuto Spazio, per rubare le parole al vecchio saggio
Gurnemanz. E in un luogo dove il cielo sovrasta la terra, e il
rito di fede e sofferenza si compie con forza impressionante.
Presente o futuro? Non interessa: atmosfere, simboli, gesti,
espressioni sono quelli che devono essere. Poi ci sono cinque
artisti-attori magnifici: Jonas Kaufmann, Katarina Dalayman,
René l'ape, Peter Mattei e Evgenij Nikitin, tutti calati nella
propria "parte" e capaci di comunicarne la verità più profonda.
Guida sicura e autorevole della sempre più convincente orchestra
del Met (cui va aggiunto il coro, non meno eccellente, istruito
da Don Palumbo) è il maestro Daniele Gatti, a suo agio in un
repertorio che gli è congeniale per gusto e temperamento. In
questo caso possiamo tradurre HD con Alta Prestazione.
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