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Il giornale della musica,
maggio 2010 |
Marco Beghelli |
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Che bel tenore romantico - Die schöne
Müllerin
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Il
bel tenebroso campeggia fotomontato sul celebre dipinto di Friedrich, icona
del Romanticismo ben nota alle copertine discografiche. È un messaggio
preciso: Jonas Kaufmann eletto a tenore di riferimento per la grande
tradizione tedesca. Non tuttavia un Heldentenor come certi suoi connazionali
d'anteguerra. II modello vocale è piuttosto latino, aperto anche al
repertorio italo-francese: un Domingo ringiovanito, con qualche lacrimuccia
in meno nella voce e un timbro brunito di non minor fascino, con cui
affrontare se possibile una carriera dai confini stilistici ancor più ampi
(Mozart è stato ad esempio del tutto occasionale per lo spagnolo, mentre è
parte fondante nel repertorio di Kaufmann).
Come canta dunque il
tenore degli anni '10? I blog dei melomani si scatenano da tempo, uno contro
I'altro, avendo di fatto ragione entrambi. Se analizziamo queste
registrazioni al microscopio, troviamo tante screziature vocali su cui
ridire, e che (come per tutti i cantanti carichi di una personale
individualità) finiranno nel tempo per costituire il suo contrassegno
inconfondibile. Se invece consideriamo l'esito esecutivo nella sua globalità
(e aggiungendovi magari anche la presenza scenica, che a teatro lo
avvantaggia), ecco un risultato non privo di fascino.
Il livello
meramene tecnico del nostro tenore si saggia al meglio nell'aria meno nota
di tutto il disco: quella dal Fierrabras di Schubert, che batte
insistentemente sulla zona del passaggio di registro (tra il mi e il sol
acuti). Ebbene, proprio in quelle note che sono il tallone d'Achille d'ogni
tenore (ben più degli acuti estremi), la voce di Kaufmann si stimbra, perde
cioè il suo affascinante colore e si mostra affaticata: per quanto
austriaco, quello Schubert guarda assai alla vocalità italiana, al belcanto
che non ammette defaillances simili, che obbliga a non sorvolare su una
semplice quartina vocalizzata, e che gradirebbe qualche variante melodica
nel ritorno delle stesse frasi. Risultanto mancato, dunque.
Molto
meglio lo Schubert dell'altra novità discografica: le caratteristiche vocali
di Kaufmann sono ideali per il Lied romantico, e la registrazione della
Schöne Müllerin un suo grande desiderio finalmente realizzato, ne dà prova.
I Lieder schubertiani vengono ricondotti alla loro originaria tonalità
tenorile, dopo anni di monopolio dei baritoni, ma il colore scuro e la
facilità di discesa ai gravi consentono a Kaufmann di rivaleggiare per
fascino timbrico con i mitici Fischer-Dieskau e Prey. I pochi acuti (fa,
sol) che la parte richiede, di volta in volta falsettati o induriti,
diventano mezzi d'espressione per variare una linea di canto che, nella
diffusa stroficità dei brani, rischierebbe la monotonia. I risultati
migliori sono nei brani più esuberanti, affrontati con piglio eroico. Helmut
Deutsch, più che accompagnare, sembra dirigere dal pianoforte l'irruente
tenore.
Probabilmente, il Wagner più lirico sarà destinato a una
notevole presenza nella carriera di Kaufmann, specie quando le incertezze
tecniche si faranno insopportabili per il melodizzare italiano e francese, e
la voce tenderà a indurirsi un poco. II racconto di Lohengrin apre il
programma del cd operistico come meglio non si potrebbe (e forse meglio di
quanto Parsifal invece lo concluda: una vocalità ancora eccessivamente
ferrea e asprigna per il giovane Kaufmann). Certo: anche qui i pianissimi
sono piuttosto note falsettate, ma è vezzo (o vizio) di quasi tutti i tenori
nell'ultimo mezzo secolo, controbilanciato però da un fascino timbrico
questa volta favorito in tutto e per tutto dalla tessitura centrale. E una
vocalità a mezze frasi fondata sulla parola (come nel Lied romantico) si
addice a Kaufmann più delle ampie arcate di Tamino o dell'eccitazione in
zona acuta di Florestano.
Sul podio, un Abbado impegnato in frammenti
di partiture che forse non dirigerà mai (20 minuti di Parsifal assolutamente
inediti!). Cosa sarebbe la sua Walkiria? Il "Canto di primavera" è attaccato
con una posatezza lontanissima dal piglio di tradizione: la sua primavera è
ormai malinconia. |
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