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L'opera, Dicembre 2011 |
Giancarlo Landini |
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Fidelio
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La
soglia d'accesso della nuova edizione del Fidelio, con la quale Claudio
Abballo consegna ufficialmente al disco la sua interpretazione
dell'opera di Beethoven, è la scena del carcere che apre il II atto. È
lì che si chiariscono fino in fondo le ragioni di una lettura innovativa
che si inserisce d'autorità in una discografia ampia e prestigiosa. La
scelta di affidarsi alla registrazione di un'esecuzione in forma di
concerto evita i limiti e i condizionamenti di una soluzione teatrale
che difficilmente potrebbe essere all'altezza di un risultato musicale
così completo.
Il II atto è introdotto da un Preludio sinistro
che la tradizione ha caricato di colori scuri e caliginosi, di sonorità
imperiose e violente, sulle quali si inserisce il canto di Florestan,
che una simile concezione esaspera fino allo spasimo, trascinando tenori
anche celebri e valenti alla inevitabile vociferazione, complice una
scrittura non favorevole per le voci. Nella lettura di Abballo, invece,
il Male ha il passo di un'imperturbabile tranquillità, ha un colore che
le trasparenze di un'orchestra mai turgida rendono ancora più infernale,
mentre la sobrietà della scansione ritmica lo fa ancora più soffocante.
L'eccellente messa di voce, con la quale Jonas Kaufmann attacca, ci
introduce in una lettura intima, ripiegata, angosciata, dove
l'esasperazione è sempre e solo interiore. Giova il colore della prima
ottava, quasi soffocata, giova l'adesione alla scelta di Abballo che
spinge il suo tenore ad un canto schietto, teso, non altisonante,
stentoreo, largo se occorre, sempre sostenuto, ma scevro da ogni
vociferazione. È un canto nella parola e sulla parola.
Andrà
osservato, per sgombrare ogni equivoco, che la trasparenza del dettato
orchestrale, il nitore delle linee, lo splendore degli impasti, non è
occasione di estatica contemplazione o olimpico distacco, ma si innerva
di una tensione tanto profonda quanto vera che cerca il dramma e non il
teatro. È proprio la scena del carcere a rivelarcelo, con il suo passo
che non è mai affrettato, con i colori che non sono mai caricati e per
questo tanto più drammatici, spalmati lungo una curva emotiva che si
dispone con naturalezza fino allo squillo liberatorio, prima che la
situazione precipiti, Rocco e Pizarro vadano incontro di corsa al
governatore, mentre Florestan e Leonore si abbandonano ad un «namenlose
Freude» di liederistica purezza, limpido come un cielo sereno. Kaufmann
e la Stemme lo cantano benissimo senza compromessi: coppia ideale per
dare voce agli eroi beethoveniani.
Giunti a questo punto possiamo
tornare all'inizio dell'opera. Abbado ci aveva stupito fin
dall'Ouverture suonata senza l'enfasi che storiche bacchette ha messo
addosso al Fidelio. Nel «prologo» borghese, vale a dire le prime scene
del I atto, Abbado libera Rocco, Marzelline e Jaquino da movenze di
commedia. Conferisce loro una normalità che porta ancor più a galla
l'egoismo e l'immoralità di persone capaci di vivere in un lager,
pensando ai confetti e ai fiori d'arancio.
Pizarro è un tiranno
che canta con chirurgica freddezza, mentre il sollievo di prigionieri,
liberati da Fidelio, è cantato con una sorta di dimesso minimalismo. Va
da sé che i! travolgente finale del II atto, non precedute dalla Leonora
n. 3, viene liberato da ogni cascame retorico e acquisti una più
autentica consapevolezza. Nello scegliere l'edizione di Helga Lühning
c. Robert Didio, Abbado sigla un'interpretazione di valenza storica. Non
è inferiore a quella dei capolavori comici di Rossini, di cui il celebre
direttore rivelò il volto dando compiuta realizzazione all'edizione
critica.
II cast è dominato dalla coppia, formata da Nina
Stemme e da Jonas Kaufmann. La prima canta con voce limpida, luminosa e
chiara, superando ogni difficoltà, stando dentro la musica, senza
forzature e sopraffazioni, all'interno di un'impostazione intimamente
lirica, ma tutta slanci.
Kaufmann è uno dei migliori
Florestan dell'intera discografia del Fidelio, come prova l'Aria del Il
atto, ma anche i preziosi interventi del Finale.
Struckmann si
impone per il fraseggio, la tagliente dizione al servizio di una figura
gelida e sinistra. II terzetto borghese, con Fischesser, la Harnisch e
Strehl, aderisce pienamente alle richieste del direttore. Così il
sacrato Quartetto, «Mir ist so wunderbar», finalmente viene riportato
alla giusta dimensione e liberato da quell'aurea di laica sacralità in
cui è stato avvolto. Lo stesso Peter Mattei, il cui canto è spesso
discutibile, è abbastanza espressivo, anche se il Governatore dovrebbe
possedere un'altra autorevolezza. L'incisione è mirabile per ampiezza
della scena sonora, per l'analitica bellezza dei dettagli, per
l'equilibrio tra voci e strumentale con una vivezza che solo Decca
riesce ad ottenere in registrazioni che sono capolavori di tecnica.
Agevoli le note, ma meglio sarebbe stato un intervento mirato su Abbado
e il Fidelio, su questo Fidelio, sulla scelta delle fonti e sul loro
utilizzo.
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