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Musica, ottobre 2012 |
Stephen Hastings |
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Bizet, Carmen
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Risale
a dieci anni fa l'ultima edizione della Carmen realizzata in studio dalla
EMI (quella di Michel Plasson, con Angela Gheorghiu e Roberto Alagna), e
dura ormai da dieci anni la collaborazione di Simon Rattle con i Berliner
Philharmoniker: un anniversario che viene festeggiato appunto con
quest'incisione del capolavoro di Bizet con la moglie del maestro, vista e
sentita nei mesi scorsi pure in esecuzioni dal vivo a Berlino e Salisburgo (
si puo vedere per esempio - a pagamento - un concerto berlinere con lo
stesso cast sul sito www.digitalconcerthall.com). L'edizione scelta da
Rattle - quella di Oeser, con i dialoghi però ridotti :II minimo - è diversa
da quella utilizzata da Plasson - che si rivolse alla versione di
Choudens-Guiraud, con l'aggiunta di qualche recupero filologico - ma le due
incisioni hanno in comune una protagonista poco adatta al ruolo di Carmen.
Né la Gheorghiu né Magdalena Kozena ha una carica di sensualità, oppure di
ironia fatalistica, sufficiente per compensare la relativa esiguità dei
mezzi vocali a disposizione. E mentre la Gheorghiu era comunque capace di
dare un'idea del personaggio senza ledere - se si eccettuano alcune lievi
fibrosità nella scena finale - la bellezza del timbro, la Kozenà è costretta
a indurire notevolmente l'emissione (rendendo il personaggio piuttosto
antipatico), senza per questo trovare quelle riserve di potenza e di colore
che servono a una gitana capace di dominare tutto e tutti: a partire da se
stessa. In qualche intervista il mezzosoprano di Brno ha espresso il
desiderio (condiviso dal marito) di riportare il capolavoro di Bizet alla
sua dimensione autentica di opera contigue.
E non c'è dubbio che Sir
Simon accompagni sia lei che gli altri cantanti con ammirevole souplesse e
leggerezza. L'organico orchestrale però mi sembra decisamente sostanzioso, e
il peso sonoro dei Berliner al completo è ben avvertibile nei climax, dove -
nonostante l'innegabile e mai routiniera eccellenza dell'insieme strumentale
- l'effetto complessivo appare fuori misura per un teatro che si vorrebbe
intuito e dialogante.
Meglio inserito in questa cornice
sonora caratterizzata da una vasta gamma dinamica è il Don José di Jonas
Kaufmann. Il quale appare qui un esecutore prodigioso (basti sentire con
quanta attenzione e sensibilità traduca i segni espressivi nell'aria del
Fiore) e un interprete di una coerenza tanto ammirevole quanto implacabile.
Il suo infitti non è un José che ci conquista umanamente, in quanto si
avverte già da subito (un po' come avveniva con Jon Vickers) il fanatismo
del potenziale assassino: un fanatismo che si esprime anche attraverso
l'attenzione maniacale per i dettagli musicali. A confronto con lui, Roberto
Alagna sembra musicalmente approssimativo, talvolta persino sbadato, ma
grazie a un' emissione più spontanea (e al fatto di cantare qui nella sua
lingua madre), riesce a far vivere le parole in modo più coinvolgente. Con
Alagna e con la Gheorghiu l'ascoltatore si sente lacerato nel finale
dell'opera perché comprende emotivamente le ragioni di entrambi i
personaggi; con Kaufmann e la Kozena si osserva la scena con maggiore
distacco, anche se l'interazione si svolge secondo una logica altrettanto
credibile.
E questo distacco investe anche l'Escamillo di
Kostas Smoriginas, che canta tutte le note con correttezza ma non si
avvicina mai al carisma di Thomas Hampson (che pure non è ideale)
nell'incisione di dieci anni fa, anche se l'accompagnamento di Rattle nei
couplets comunica una sprezzatura che va ben oltre le possibilità di
Plasson. La Micaela dell'austriaca Genia Kühmeier - nonostante un'ottava
grave un po' debole - ha un volto più interessante di quello delineato da
Inva Mula e gli interpreti di contorno sono tutti più che accettabili
(segnalo la presenza di Simone Del Savio nei panni di Dancairo). Il Coro
della Staatsoper berlinese poi domina il testo di Meilhac e Halévy con una
facilità che sarebbe stata impensabile alcuni decenni fa. E proprio a quel
passato - ormai quasi remoto - che si deve guardare tuttavia per trovare una
Carmen di riferimento realizzata in studio. Per limitarci al catalogo EMI,
basterebbe citare le edizioni di Beecham e Pretre per la versione Guiraud e
quella di Cluytens per ritrovare il sapore autentico dell'opéra comique.
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